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La preghiera è uno scambio di amore, non uno scambio dovuto, commerciale. La preghiera nasce dall’esperienza dell’incontro e non dal bisogno: non è come quando ho fame allora mangio, ho sete allora bevo, ho sonno allora dormo.

La preghiera è relazione. Possiamo vivere anche senza, ma che vita è? Un vivacchiare, un morire lentamente. La preghiera è esperienza di essere amato, così come sei. Non è qualcosa da sapere o fare per fare… È esperienza che qualcuno mi ama e si fida di me! Quando ci si sente amato e con la fiducia “addosso”, si può fare tutto e affrontare tutte le difficoltà della vita.

Nel dialogo notturno con Nicodemo, Gesù comunica, in poche parole, l'essenziale della fede: “Dio ha tanto amato il mondo”. È una cosa sicura, una cosa già accaduta, una certezza centrale: Dio è l'amante che ti salva. Parole decisive, da riassaporare ogni giorno e alle quali aggrapparci sempre. Parole che ci sono state dette dal battesimo: “Tu sei il mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc 1,11). Dio crede in ognuno di noi e tutto possiamo grazie al suo amore e alla sua fiducia.

Accettare questo Amore mi porta a guardare l'esistenza da una prospettiva nuova, da un pertugio aperto nel cielo, per vedere cosa è effimero e cosa invece è eterno.

Imparo allora ad accettare l’altro così com’è, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti; a stargli vicino non solo nei momenti di gioia, ma anche in quelli di difficoltà; sarò disposto a rinunciare a qualcosa di importante per il bene altrui; darò loro attenzioni (e non solo regali), disposto anche a rinunciare a lui pur di vederlo felice. E, come dice Papa Francesco,: “La famiglia è il luogo dove si impara ad amare e ad uscire da se stessi”.

Amare significa inoltre mettere cuore e passione in ciò che si fa; gioire dei successi altrui prima ancora che dei propri.

E allora… usiamo il tempo trascorso in famiglia, con gli amici, a scuola, nello sport… per allenarci sempre più a far nostro lo stile di Gesù che, in fatto di Amore incondizionato e gratuito, è stato ed è un vero campione!

 

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Sappiamo tutti che la celebrazione della Pasqua, per noi cristiani e, prima ancora, per il popolo di Israele, è la festa fondamentale, la madre di tutte le feste. La parola "pasqua" viene dall'ebraico Pesach che significa "passaggio". Con questa parola si indica il passaggio dell'angelo sterminatore in Egitto, ma, soprattutto, il passaggio dalla schiavitù alla libertà. A Pasqua si fa memoria e si rivive dunque la liberazione dall’Egitto che trova il suo completamento nel “passaggio” dal potere del male alla Signoria di Cristo mediante la sua Pasqua di Passione, Morte, Sepoltura e Risurrezione..

Per Israele il fulcro di tutto questo è il “Seder pasquale”, cioè una cena con gesti, azioni e canti che commemora la Pasqua con un ordine rituale prestabilito (“seder”) ed ha, al suo centro, l’ “Haggadah” cioè il racconto della liberazione.

L’intero rito del “seder” è estremamente significativo e pieno di momenti profondamente religiosi. Il piatto, i gesti, le parole evocano simboli e ricordi cari a chiunque conosca un po’ la Storia della salvezza. Alcuni momenti significativi sono:

- la domanda iniziale, fatta dal più giovane della casa, fa sì che tutti, si sentano parte attiva del rito liturgico;

- la risposta è tutto il racconto dell’haggadah;

- la cena conviviale, con l’obbligo di ricevere chiunque si presenti in casa e introdurlo a far parte degli invitati;

- le preghiere, inni di lode, di ringraziamento, di stupore per quanto Dio ha compiuto a favore del suo popolo.

Questa celebrazione ci aiuta a comprendere quello che Gesù ha compiuto nell’ultima cena istituendo l’Eucaristia; questa infatti è nata all’interno di un incontro di preghiera, di lode, di gioia, di convivio, appunto come il seder pasquale invita a fare. In quella “cena pasquale” Gesù ha lavato i piedi agli apostoli e ha donato il suo Corpo e il suo Sangue chiedendo di far questo in “Sua Memoria”.  Perciò il Seder pasquale come l’Eucaristia ci richiamano a celebrare la speranza della liberazione di tutti i popoli perseguitati e oppressi e ad impegnarci per il loro riscatto. E’ la celebrazione e la promessa di una “vita buona” per tutti.

 

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Il monte Tabor è necessario per salire un altro monte che è quello del Calvario. Gesù sa che l’unica maniera per reggere la notte è immergersi nella luce, fare un vero e proprio bagno di bellezza. Anche noi, nell’ora del Calvario, nell’ora della Croce, non vediamo la luce, ma solo la memoria di quella bellezza può non farci scappare. Questa è la Speranza, la memoria viva di questa luce che ci accompagna anche quando è buio.
Varcata la soglia dell’interiorità la prima impressione è quella di un buio pesto. In quel buio ci raggiunge una Parola. È luce perché ti ricorda che c’è qualcuno in quel buio. Quando si entra dentro noi stessi abbiamo il bisogno di capire che lì dentro c’è un buio abitato da una Presenza di luce che si dà inizialmente a noi sotto forma di parola.

L’esperienza dell’adorazione come preghiera è stare, nel silenzio davanti alla bellezza, lasciandoci raggiungere dalla sua Parola, che dona Speranza anche nel buio più completo. La preghiera dona gioia anche quando attorno non c’è più speranza: dona uno sguardo diverso a quella realtà, non la toglie, non ti fa scappare, ma ti aiuta ad affrontarla in modo diverso. Ti fa vedere la realtà sotto una luce diversa. Ti fa scendere dal monte Tabor, per affrontare ciò che accadrà a Gerusalemme.

Ma perché questo avvenga è necessario imparare a stupirsi. Il fisico tedesco Albert Einstein scriveva: “Chi non sa più provare stupore è come morto, i suoi occhi sono spenti”. Spesso crediamo che meravigliarsi per le sorprese della vita sia un privilegio riservato ai piccoli. Tutti possiamo invece goderne, in qualsiasi stagione della nostra vita. Se da un lato lo stupore è una porta di accesso al bello, dall’altro ci permette di superare il rischio dell’indifferenza offrendoci l’opportunità di cogliere la sofferenza, la solitudine, la distanza che ci separa dagli altri per tentare di porvi rimedio. Questo sguardo al bello ha bisogno di tempo e va allenato, mosso dalla curiosità, a partire dal mattino. Pur nella fretta delle azioni quotidiane, proviamo a lasciarci stupire dallo straordinario meccanismo della natura, dono gratuito di Dio: il sole che sorge il canto degli uccelli, il saluto del vicino scorbutico... Raccogliamo questi attimi di gioia e seminiamoli attorno a noi per il resto della giornata

IN PREGHIERA

Signore Gesù, sul monte Tabor
ti sei mostrato ai discepoli
come figlio di Dio, avvolto di luce.
Hai piantato nel loro cuore un seme di speranza
per aiutarli a sopportare il monte del Calvario.

Signore, rendimi capace
di gustare la bellezza dello stare di fronte a Te
e dammi la forza di affrontare
i momenti difficili della vita
alla luce di quella speranza.

Insegnami a cercare nella tua Parola
la presenza di luce che da senso anche al buio
e a condividere con quanti soffrono
la forza di guardare oltre la realtà.
Amen

 

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Vogliamo riflettere oggi sulla realtà dell’Oratorio e sul  come renderlo sempre più operativo. Sappiamo che il senso profondo della vita cristiana è vivere l’incontro con il Signore e darne testimonianza agli altri. Si annuncia Gesù come salvatore, ci si adopera per vivere in comunione con Lui e, progressivamente, ci si indirizza verso una esistenza incentrata sul servizio e la comunione.

Ecco, l’oratorio è il mezzo attraverso il quale ci si educa alla testimonianza della vita vissuta nel servizio di coloro che si incontrano. Ce lo ricorda S. Giovanni Bosco, quando afferma che l’attività degli oratori aiuta ad essere “buoni cristiani e onesti cittadini”.
Si può dire che l’oratorio nasce quando una comunità, genitori e figli, cominciano a porre attenzione alla dimensione educativa. Questo conduce a progettare e vivere proposte di formazione e di accompagnamento alla vita dei ragazzi e degli adolescenti e iniziative offerte alle famiglie e con le famiglie.

Nell’oratorio si progettano e si realizzazione tutte quelle proposte che possono far “crescere la vita”: per i ragazzi, gli adolescenti, gli adulti, gli anziani. Ad ogni livello e in ogni modo, purché leale. Attraverso l’Oratorio poi, è possibile incrementare la conoscenza e la stima reciproca per progettare assieme, facendolo divenire così una forma concreta di comunità.

Non è quindi solo campo da gioco o solo per i ragazzi. Può diventare il luogo di appoggio delle famiglie per una loro crescita sana e cristiana. Per loro e i loro figli.

Nella nostra Comunità abbiamo le strutture necessarie sia a Marlia che a Matraia e S. Pancrazio; si tratta di organizzarci con un progetto comunitario. E’ necessario costituire un gruppo coeso, pensante, propositivo e attivo e l’ Associazione ANSPI può aiutare in questo. Essa è da promuovere per avere come iscritti non solo ragazzi che giocano, ma adulti che hanno il senso di appartenenza ad una realtà che ritengono positiva e nella quale sono disposti a collaborare. E’ una sfida da accogliere per il futuro di una comunità.

 

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Si celebra oggi la 32a Giornata Mondiale del Malato e Papa Francesco nel suo messaggio, si ispira al capitolo 2 del Libro della Genesi (Gen 2,18): “Non è bene che l’uomo sia solo”

“Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: -afferma Francesco -non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento. Esso colpisce la persona in tutte le sue relazioni: con Dio, con sé stessa, con l’altro, col creato. Tale isolamento ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita”, spiega il Papa.

Il Santo Padre richiama quindi il modello del Buon Samaritano (Lc 10, 25-37) con la "sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre” e ricorda che “la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso”.

“Siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione”, invita il Papa.

Infine:  “i malati, i fragili, i poveri sono al centro della Chiesa e devono essere anche al centro della nostra attenzione umana”

Casa parrocchiale

Piazza don Carlo Matteoni, 9
Segreteria: da lunedì a giovedì
dalle ore 16,00 alle ore 19,00

tel. 0583 414082

 

Contatti

Don Agostino te. 353 4594727

Don Luigi tel. 345 3095444

Don Samuele tel. 333 3885531

Suore San Giuseppe te. 351 9283022

 

S.Messe festive

Sabato e vigilia delle feste:
ore 17,00 chiesa San Pancrazio

ore 18,00 chiesa d Marlia

Domenica   

ore 10,30 chiesa di Marlia
ore 11,00 chiesa di Matraia

 

 

S.Messe feriali

Cappella S. Emilia   
ore 08,15: Lodi    ore 08,30: S. Messa   
(no mercoledì e sabato)
 
Confessioni:     sabato ore 17,30

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