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Ecco "Dilexit nos", quarta enciclica di Francesco, dedicata al Sacro Cuore. «L'amore gratuito di Cristo libera dal perverso ingranaggio in cui, nella società liquida, tutto si vende e si compra»

 

Forse non è sbagliato cominciare a leggere la nuova enciclica di papa Francesco, Dilexit nos (ci ha amati) dalla fine. E precisamente dalla preghiera del Pontefice che troviamo nelle ultime righe del testo dedicato al culto del Sacro Cuore di Gesù. Perché nella preghiera che papa Bergoglio scrive c'è il nucleo essenziale del suo messaggio. “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!”.

Dilexit nos, infatti non è solo un testo magisteriale, ma anche una grande e appassionata dichiarazione d'amore per Colui che ci ha amato fino alla fine e che come disse a santa Margherita Maria Alacoque, nel corso delle sue apparizioni tra la fine di dicembre 1673 e il giugno 1675. rappresenta "quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo Amore (citazione tratta dal paragrafo 121 dell'enciclica). Francesco infatti, con questa sua quarta enciclica ha un intento dichiarato. Quello di offrire a un mondo che ha smarrito il cuore, la visione del Cuore di Gesù, come centro unificante dell'amore sempre nuovo di Dio per gli uomini e per le donne di ogni tempo e come fonte da cui sgorga quella che san Giovanni Paolo II, citato espressamente, chiamava civiltà dell'amore. Contro le guerre che devastano il mondo, contro ogni inimicizia, contro le ferite inflitte al creato, scrive infatti il Pontefice, ritornare al Cuore di Gesù è l'unica strada. E a tal proposito il Papa definisce questa encilica anche come l'ideale prosecuzione del discorso iniziato con Laudato si' e Fratelli tutti.

 

Il documento, di agile lettura (>>qui il link al testo integrale), è aperto da una breve introduzione e si articola in cinque capitoli e una conclusione, raccogliendo, come preannunciato dal Papa a giugno, “le preziose riflessioni di testi magisteriali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture, per riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale”. Il tutto mentre sono in corso le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque, nel 1673, che si chiuderanno il 27 giugno 2025.

Capitolo 1: il mondo può cambiare a partire dal cuore

Il primo capitolo, “L’importanza del cuore”, spiega perché serva “ritornare a parlare al cuore” in un mondo liquido nel quale siamo tentati di “diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato”. Il cuore è infatti il luogo "dove siamo noi stessi”, dove risiedono le domande di senso sulla vita, le scelte, le azioni, "chi sono davanti a Dio". Il Papa sottolinea che l’attuale svalutazione del cuore nasce “nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo”, così che nel grande pensiero filosofico si sono preferiti concetti come quelli di “ragione, volontà o libertà”. E non trovando posto per il cuore, “non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale” che può unificare tutto, e cioè l’amore. Invece, ricorda Francesco, “io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone”. È il cuore “che unisce i frammenti” e rende possibile “qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo”. E questo ha conseguenze sociali, perché il mondo può cambiare “a partire dal cuore”.

Capitolo 2: ​gesti e parole d'amore di Gesù

Il secondo capitolo riporta i gesti e le parole d’amore di Cristo, che ci tratta come amici e mostra che Dio “è vicinanza, compassione e tenerezza” (ad esempio gli incontri con la samaritana, con Nicodemo, con la prostituta, con la donna adultera e con il cieco sulla strada). Il suo sguardo, che “scruta l’intimo del tuo essere”, scrive il Papa, mostra che Gesù “presta tutta la sua attenzione alle persone, alle loro preoccupazioni, alle loro sofferenze”. Egli inoltre ammira "le cose buone che riconosce in noi” come nel centurione, anche se gli altri le ignorano. Ma la sua parola d’amore più eloquente è l’essere “inchiodato sulla Croce”, dopo aver pianto per l’amico Lazzaro e aver sofferto nell’Orto degli Ulivi, consapevole della propria morte violenta “per mano di quelli che Lui tanto amava”.

Capitolo 3: la devozione al Sacro Cuore sintesi del Vangelo

Nel terzo capitolo, “Questo è il cuore che ha tanto amato”, il Pontefice ricorda come la Chiesa ha sempre riflettuto “sul santo mistero del Cuore del Signore”. Cita perciò l’Enciclica di Pio XII Haurietis aquas del 1956, sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù. Chiarisce che “la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù”, perché noi adoriamo “Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore”. L’immagine del cuore di carne, sottolinea il Papa, ci aiuta a contemplare, nella devozione, che “l’amore del Cuore di Gesù Cristo, non comprende soltanto la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell’affetto umano”. Secondo Benedetto XVI, il suo Cuore contiene infatti un “triplice amore”: quello sensibile del suo cuore fisico “e il suo duplice amore spirituale, l’umano e il divino”, in cui troviamo “l’infinito nel finito”. Il Pontefice invita poi a rinnovare la devozione al Cuore di Cristo anche per contrastare “nuove manifestazioni di una ‘spiritualità senza carne’ che si moltiplicano nella società”. È necessario tornare alla “sintesi incarnata del Vangelo” davanti a “comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti”.

 

Capitolo 4: il Sacro Cuore fonte di spiritualità

Il quarto capitolo, “L’amore che dà da bere”, rilegge le Sacre Scritture, e con i primi cristiani, riconosce nel costato aperto di Cristo una sorgente per placare la sete dell’amore di Dio e “per lavare il peccato e l’impurità”. Diversi Padri della Chiesa hanno menzionato “la ferita del costato di Gesù come origine dell’acqua dello Spirito”, su tutti Sant’Agostino, che “ha aperto la strada alla devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore”. A poco a poco questo costato ferito, ricorda il Papa, “venne assumendo la figura del cuore”, ed elenca i santi e le sante che hanno alimentato questa devozione, tra gli altri. San Francesco di Sales, che raffigura la sua proposta di vita spirituale con “un cuore trafitto da due frecce, racchiuso in una corona di spine”, la già citata Santa Margherita Maria Alacoque, Santa Teresa di Lisieux che chiamava Gesù “Colui il cui cuore batteva all’unisono col mio” e che nelle lettere alla sorella suor Maria invitava a non concentrare la devozione al Sacro Cuore “su un aspetto doloristico”, ma sulla fiducia “come la migliore offerta, gradita al Cuore di Cristo”. Non poteva mancare da parte di papa Francesco un riferimento a Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, che nei suoi Esercizi Spirituali propone “di entrare nel Cuore di Cristo” in un dialogo da cuore a cuore. Infine le esperienze di Santa Faustina Kowalska rinnovano la devozione “con un forte accento sulla vita gloriosa del Risorto e sulla misericordia divina”. E anche san Giovanni Paolo II “ha collegato intimamente la sua riflessione sulla misericordia con la devozione al Cuore di Cristo”. Il Papa infine, in questo capitolo chiede “che nessuno si faccia beffe delle espressioni di fervore credente del santo popolo fedele di Dio, che nella sua pietà popolare cerca di consolare Cristo”. Perché poi “desiderosi di consolarlo, ne usciamo consolati” e “possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione”.

Capitolo 5: dal Sacro Cuore la missione di far innamorare il mondo

Nell'ultimo capitolo “Amore per amore” il Papa approfondisce la dimensione comunitaria, sociale e missionaria di ogni autentica devozione al Cuore di Cristo, che, nel momento in cui “ci conduce al Padre, ci invia ai fratelli”. Infatti l’amore per i fratelli è il “gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore”. Guardando alla storia della spiritualità, il Pontefice ricorda che l’impegno missionario di San Charles de Foucauld lo rese “fratello universale”: “lasciandosi plasmare dal Cuore di Cristo, voleva ospitare nel suo cuore fraterno tutta l’umanità sofferente”. Francesco parla poi della “riparazione”, come spiegava San Giovanni Paolo II: “Offrendoci insieme al Cuore di Cristo, sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo”. E sempre papa Wojtyla accostava “la consacrazione al Cuore di Cristo all’azione missionaria della Chiesa stessa, perché risponde al desiderio del Cuore di Gesù di propagare nel mondo, attraverso le membra del suo Corpo, la sua dedizione totale al Regno». Di conseguenza, attraverso i cristiani, «l’amore sarà riversato nei cuori degli uomini, perché si edifichi il corpo di Cristo che è la Chiesa e si costruisca anche una società di giustizia, pace e fratellanza». Per evitare il grande rischio, sottolineato da san Paolo VI, che nella missione “si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo”, servono “missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo”.

Conclusione: L'amore di Cristo antidoto alla febbre del denaro

Nella conclusione, papa Francesco offre la prospettiva del cammino che parte dal Sacro Cuore: "Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre. Ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità. Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità".

 

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Dal Concilio Vaticano II (1962-1965) in poi si è venuta formando nella Chiesa una nuova e più forte coscienza missionaria. Essa ha generato un vero e proprio bisogno di conoscere, di studiare, di meditare e di vivere la vocazione battesimale-missionaria, non più in modo episodico, ma secondo criteri validi e universalmente condivisi. Si è fatta strada l’esigenza di un “tempo forte” dedicato alla missione universale della Chiesa per tutto il popolo di Dio. Ecco che – dalla fine degli anni ’60 – un’intuizione dell’Opera della Propagazione della Fede Italiana fece sì che il mese di Ottobre fosse dedicato interamente alla missione universale.

Un mese scandito da un itinerario di cinque settimane di cui la Giornata Missionaria Mondiale, fissata per la penultima domenica di Ottobre, ne costituisce il punto culminante, quest’anno la Domenica 20 ottobre.
Quest’anno, l’ottobre 2024, è anche un’occasione di festa per la Chiesa di Lucca chiamata a celebrare i 50 anni dall’invio dei missionari “Fidei Donum” lucchesi nelle diocesi di Rio Branco e Byumba. “Fidei Donum” sono i sacerdoti che, pur mantenendo la loro appartenenza alla Diocesi di origine, donano un tempo della loro vita all’evangelizzazione  delle cosiddette “terre di  missione”. Fra questi va annoverato don Luigi Pieretti, originario di Marlia, in questi giorni presente fra noi.


Siamo davanti a un tempo che ci chiama a scoprire il senso della “Missione”,  un tempo che porta a domandarci cosa vuol dire essere cristiani e come annunciare il vangelo nelle nostre situazioni concrete. Infatti, La Missione non può essere inquadrata negli spazi stretti di una etichetta perché è una dimensione e uno stile che interroga tutta la comunità cristiana: è da lì che dobbiamo attingere per essere autenticamente “chiesa in uscita”  e in relazione. Tutti, pertanto, siamo chiamati a individuare insieme nuovi cammini e nuove sfide di impegno missionario da vivere nelle nostre famiglie e nella dimensione della catechesi ai bambini e ai ragazzi. Per aprire nella nostra mente qualche spiraglio in ordine a questo, ricordo che  VENERDI’ 25 OTTOBRE sarà tra noi LUCA BIANUCCI missionario laico

 

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Agli studenti e alle loro famiglie,

ai dirigenti scolastici,

al personale docente e non docente

delle scuole di ogni ordine e grado

dell’Arcidiocesi di Lucca

 

Cari amici e care amiche,

l’estate appena trascorsa fornisce molti spunti per l’avvio di questo nuovo anno scolastico:

ci sono stati tristi episodi di cronaca che hanno acceso il dibattito sul disagio adolescenziale; alcune esaltanti imprese sportive hanno non solo suscitato una riflessione sulla cittadinanza, ma hanno posto l’accento sulle energie positive di tanti giovani, che hanno dato lustro al nostro Paese con i loro successi nelle competizioni olimpiche.

Mi sembra che quest’ultima esperienza vada valorizzata e proposta come beneaugurante esempio per tutto il mondo della scuola, soprattutto per quello che riguarda gli atleti paralimipici, di cui proprio nei giorni scorsi si è molto parlato, raccontandone le storie in occasione delle loro tante vittorie. Si tratta di uomini e donne che hanno vissuto situazioni difficili, in seguito a incidenti o malattie, ma che non si sono dati per vinti: hanno avuto la forza di reagire, trovando in uno sport gli stimoli per provare a dare il meglio di sé.

A ben vedere, la scuola dovrebbe fare questo: aiutare bambini, ragazzi e giovani a tirare fuori il meglio di sé, proprio a partire dalla constatazione che nessuno è perfetto e che tutti hanno dei limiti con cui fare i conti. Viviamo in una società nella quale si fa fatica a riconoscere errori e difetti: vorremmo tutti essere impeccabili, da ogni punto di vista. Chi non è perfetto o non risponde a certi standard viene facilmente scartato, deriso, persino bullizzato. Anche di fronte a qualche insuccesso scolastico – un brutto voto, la sanzione a un comportamento sbagliato, l’errore di un docente… - si reagisce male; al di là del giusto dispiacere, scattano proteste o ricorsi e volano accuse reciproche. La colpa o il difetto sono sempre di qualcun altro, perché nessuno sa più riconoscere e sopportare i limiti propri, deipropri figli o degli insegnanti. Non parliamo poi del chiedere scusa!

 All’inizio di questo anno scolastico, i nostri favolosi atleti disabili ci incoraggiano a non ignorare che le persone e la realtà sono intrisi di limitazioni. Non esistono la scuola perfetta, il docente perfetto, lo studente o il genitore perfetto. Tutte le cose e tutti gli altri sono pieni di difetti, anche se non vorremmo che fosse così. Chi pretende di eliminare i problemi spesso ne crea di più grandi; chi fa finta che non ci siano viene meno al proprio compito educativo o di crescita. Fare del nostro meglio e aiutare gli altri a fare altrettantoè l’unica via d’uscita. Così le persone e le cose si migliorano, un po’ alla volta, e vengono fuori dei risultati spesso sorprendenti.

Quello che serve è non smettere di sperare. Ogni limitazione può indurre a lasciar perdere, a lasciarsi cadere le braccia, perché “ormai non c’è più niente da fare”. Chi sa sperare, invece, vede sempre qualche spiraglio positivo, una possibilità residua e forse una strada inedita, che apre prospettive mai prima intuite. Molti degli atleti paralimpici, forse, non avrebbero vinto medaglie se fossero rimasti “normodotati”; magari non avrebberoneppure praticato uno sport! Questa è il meraviglioso effetto della speranza: nonostantetutto, guardare al domani con ottimismo e impegnarsi a fondo per fare del proprio meglio.

 

Il Giubileo che si aprirà a Natale ci invita a “riattivare la speranza”, per un mondo davvero capace di superare le tante contraddizioni di cui soprattutto i poveri fanno le spese. Tra di essi Papa Francesco, nella Bolla di indizione Spes non confundit, annovera anche le nuove generazioni. Scrive: “È triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia. L’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti autodistruttivi. […] Con una rinnovata passioneprendiamoci cura dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni!

Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo!”

Chiedo e auguro alle scuole di ispirazione cristiana, che saluto con particolare simpatia, di essere in prima linea nell’ispirare alla speranza la propria opera educativa, aiutando gli studenti, le famiglie e il proprio personale ad accogliere con realismo e serenità i limiti propri e altrui, affinché ciascuno possa viverli come stimolo a fare sempre del proprio meglio. So che molti genitori apprezzano particolarmente questa attitudine a non scartare niente e nessuno, mettendo il massimo impegno a far crescere tutti secondo le proprie possibilità.

Auguro infine un anno pieno di “medaglie”, come frutto della fiducia e dell’impegno di ciascuno. Affido tutti all’intercessione della nuova santa lucchese, Elena Guerra, zelatrice dello Spirito santo, sorgente di ogni buona speranza.

 + Paolo Giulietti, Arcivescovo

Lucca, 16 settembre 2024

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Nel Vangelo Gesù dice a Simone, uno dei Dodici: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Pietro è un nome che ha più significati: può voler dire roccia, pietra o semplicemente sasso. Ed effettivamente, se guardiamo alla vita di Pietro, troviamo un po’ tutti e tre questi aspetti del suo nome.

Pietro è una roccia: in molti momenti è forte e saldo, genuino e generoso.
Lascia tutto per seguire Gesù, lo riconosce Cristo, Figlio del Dio vivente, si tuffa in mare per andare veloce incontro al Risorto.
Poi, con franchezza e coraggio, annuncia Gesù nel Tempio, prima e dopo essere stato arrestato e flagellato.
La tradizione ci parla anche della sua fermezza di fronte al martirio, che avvenne proprio a Roma

Pietro però è anche una pietra: è una roccia e anche una pietra, adatta per offrire appoggio agli altri: una pietra che, fondata su Cristo, fa da sostegno ai fratelli per la costruzione della Chiesa.
Anche questo troviamo nella sua vita: risponde alla chiamata di Gesù assieme ad Andrea, suo fratello, Giacomo e Giovanni; conferma la volontà degli Apostoli di seguire il Signore; si prende cura di chi soffre, promuove e incoraggia il comune annuncio del Vangelo.
È “pietra”, è punto di riferimento affidabile per tutta la comunità.

Pietro è roccia, è pietra e anche sasso: emerge spesso la sua piccolezza.
A volte non capisce quello che Gesù sta facendo; davanti al suo arresto si lascia prendere dalla paura e lo rinnega, poi si pente e piange amaramente, ma non trova il coraggio di stare sotto la croce. Si rinchiude con gli altri nel cenacolo, per timore di essere catturato.
Ad Antiochia si mostra imbarazzato a stare con i pagani convertiti – e Paolo lo richiama alla coerenza su questo –; infine, secondo la tradizione del “Quo vadis”, tenta di fuggire di fronte al martirio, ma incontra Gesù sulla strada e ritrova il coraggio di tornare indietro.

Pietro è un uomo come noi, come ognuno di noi, che dice “sì” a Gesù con generosità nella sua imperfezione. e in tutti i santi – appare che è Dio a renderci forti con la sua grazia, a unirci con la sua carità e a perdonarci con la sua misericordia.

“Pietro non è un superuomo: è un uomo come noi, come ognuno di noi, che dice “sì” a Gesù con generosità nella sua imperfezione.
Ma proprio così in Lui – come in Paolo e in tutti i santi – appare che è Dio a renderci forti con la sua grazia, a unirci con la sua carità e a perdonarci con la sua misericordia. Ed è con questa umanità vera che lo Spirito forma la Chiesa. Pietro e Paolo sono state persone vere, e noi, oggi più che mai, abbiamo bisogno di persone vere.

Adesso, guardiamoci dentro e facciamoci qualche domanda a partire dalla roccia, dalla pietra e dal sasso.
Dalla roccia: c’è in noi l’ardore, lo zelo, la passione per il Signore e per il Vangelo, o è qualcosa che si sgretola facilmente?
E poi, siamo pietre, non d’inciampo ma di costruzione per la Chiesa?
Lavoriamo per l’unità, ci interessiamo degli altri, specialmente dei più deboli?
Infine, pensando al sasso: siamo consapevoli della nostra piccolezza?
E soprattutto: nelle debolezze ci affidiamo al Signore, che compie grandi cose con chi è umile e sincero?”

dall’ Angelus di papa Francesco il 29 giugno 2023

 

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La Pentecoste è la fine di ogni solitudine, la certezza di essere accompagnati, la consolazione di essere guidati.

Spesso non sappiamo quale strada intraprendere, camminiamo senza luce, ci troviamo incerti di fronte alle deviazioni possibili…

Verso dove, Signore? Con chi? Che cosa dobbiamo lasciare, che cosa dobbiamo scegliere? Quali parole fanno bene e quali no, quali azioni intraprendere quando ci sentiamo impotenti? Quali proposte sono giuste, o quali pericoli dobbiamo evitare?

Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà, ci assicura Gesù.

Dio ci guida, ci prende per mano con i doni del suo Spirito, dandoci sapienza, consiglio, fortezza; Dio percorre la nostra strada davanti a noi, ci attende nei momenti di stanchezza, alimenta la nostra forza, illumina i nostri pensieri; ci guida verso la verità di noi stessi, la verità dell’altro, la verità della storia, la verità di Dio.

Possiamo fare solo un passo alla volta, ma tutti vorremmo farlo nella direzione giusta.

E allora invochiamo lo Spirito Santo, vicinanza di quel Dio lontano, per non vagare nella notte, per non seguire solo gli entusiasmi del momento o le nostre convinzioni, per non perderci quando non comprendiamo dove va il viaggio.

Invochiamo lo Spirito Santo perché ci sia di guida, perché ci insegni i passi, perché ci annunci il pensiero del Padre su di noi e quelle cose future che alimentano la nostra speranza.

È una bella esperienza, per nulla remissiva, quella di essere guidati, se chi conduce ci protegge dai pericoli e ci porta verso la verità e la vita, rispettando e promuovendo la nostra libertà nel seguirlo.

È l’esperienza di un bimbo che si fida di chi lo prende per mano ed esplora la novità che lo attende, con trepidazione forse ma senza paura, perché sa di non essere solo.

È l’esperienza di chi può essere in pieno protagonista della sua vita proprio perché si sente custodito e accompagnato.

Vieni, Spirito Santo, ospite dolce dell’anima; nella fatica, riposo; nella calura, riparo; nel pianto conforto… nel cammino della vita, guida sicura.

 

Casa parrocchiale

Piazza don Carlo Matteoni, 9
Segreteria: da lunedì a giovedì
dalle ore 16,00 alle ore 19,00

tel. 0583 414082

 

Contatti

Don Agostino te. 353 4594727

Don Luigi tel. 345 3095444

Don Samuele tel. 333 3885531

Suore San Giuseppe te. 351 9283022

 

S.Messe festive

Sabato e vigilia delle feste:
ore 17,00 chiesa San Pancrazio

ore 18,00 chiesa d Marlia

Domenica   

ore 10,30 chiesa di Marlia
ore 11,00 chiesa di Matraia

 

 

S.Messe feriali

Cappella S. Emilia   
ore 08,15: Lodi    ore 08,30: S. Messa   
(no mercoledì e sabato)
 
Confessioni:     sabato ore 17,30

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