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FACCIO NUOVE TUTTE LE COSE

CONVERTIRSI ALLA SPERANZA NELL’ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE

 

 LETTERA PASQUALE

 

Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa.

Is 43, 18.19

 

Caro fratello, cara sorella,

 il Giubileo che stiamo vivendo, centrato sulla speranza, non può non connotare il percorso di novanta giorni che si colloca al cuore dell’anno liturgico e ci trasporta dalle Ceneri a Pentecoste. Come ha detto Papa Francesco, “Il Giubileo è per le persone e per la Terra un nuovo inizio; è un tempo dove tutto va ripensato dentro il sogno di Dio. E sappiamo che la parola conversione indica un cambiamento di direzione. Tutto si può vedere, finalmente, da un’altra prospettiva e così anche i nostri passi vanno verso mete nuove. Così sorge la speranza che mai delude. La Bibbia racconta questo in molti modi. E anche per noi l’esperienza della fede è stata stimolata dall’incontro con persone che nella vita hanno saputo cambiare e sono, per così dire, entrate nei sogni Dio. Infatti, anche se nel mondo c’è tanto male, noi possiamo distinguere chi è diverso: la sua grandezza, che coincide spesso con la piccolezza, ci conquista” (Francesco, Catechesi, 1 febbraio 2025). La novità di Dio ci si fa incontro e ci sollecita ad accoglierla nella speranza.

 

Il sogno di Dio

 Qual è il sogno di Dio, che egli con rinnovata fiducia ci ripropone e con rinnovata misericordia ci abilita ad accogliere e realizzare nell’anno giubilare? Proviamo a riassumerlo.

 Il sogno della santità per ogni battezzato

In Cristo ciascuno di noi è stato misteriosamente scelto da Dio, a preferenza di altri, per essere suo figlio, cioè per vivere “come farebbe Gesù”, con la forza dello Spirito Santo, la propria esistenza quotidiana. È la vita nuova donataci nel Battesimo, che rende diverso e migliore ogni ambito dell’esperienza personale e comunitaria, senza escludere alcuna situazione. “Le vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno. […] È ora di riproporre a tutti con convinzione questa ‘misura alta’ della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 31). La chiamata a vivere nella santità sembra essere fuori dalla nostra portata; è invece questo che Dio desidera per noi e che non dipende prima di tutto dalle qualità e dalle energie di ciascuno, ma si realizza per l’opera dello Spirito.

 Il sogno della missione per la Chiesa

Dio si è scelto un popolo perché continui la missione di Gesù di annunciare a tutti la salvezza che viene da lui: una Chiesa-in-uscita. Dal giorno di Pentecoste è questa la vocazione di ogni comunità cristiana. “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. […] Ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale” (Francesco, Evangelii gaudium, 27). Anche in questo caso, l’efficacia della missione – come è accaduto per gli Apostoli – non è legata alla persona dell’evangelizzatore, ma alla potenza dello Spirito che guida la Chiesa e agisce in ogni sua attività.

 Il sogno della giustizia per l’umanità

Nel progetto di Dio, tutti gli uomini e tutti i popoli, con le loro infinite differenze, sono fratelli, chiamati a incontrarsi per arricchirsi e sostenersi reciprocamente; tutte le persone, poi, hanno una dignità infinita, in ogni condizione e in ogni fase della loro esistenza, dal concepimento alla morte naturale. La Chiesa è chiamata a creare legami di amicizia e d’amore tra le persone e tra i popoli, affinché tutti siano legati a Dio, Padre dell’umanità. “Ecco un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella avventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […].Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme. Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (Francesco, Fratelli tutti, 8). In un mondo sempre più diviso e segnato dall’inequità, questa prospettiva può sembrare non realistica; è invece l’unica strada davvero sensata per assicurare agli uomini un futuro in questo pianeta. Lo Spirito incessantemente illumina e sostiene i credenti in direzione della giustizia e della pace, nelle piccole e grandi scelte della vita personale e comunitaria.

 

Il sogno del rispetto per la Terra

Dio ha affidato la terra alle mani dell’uomo perché la coltivi e la custodisca, non come despota e sfruttatore, ma come collaboratore del Creatore, per farne un giardino bello e accogliente per ogni essere vivente. “Se i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, è perché i deserti interiori sono diventati così ampi. La crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. […], che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana” (Francesco, Laudato si’, 217). Lo Spirito ci chiama e ci abilita a realizzare una meravigliosa armonia.

 La “beata speranza”

 È importante ricordare che il sogno di Dio è destinato a compiersi alla fine dei tempi: “Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2Pt 3,13). Questo orizzonte conferisce forza e sostanza alla nostra speranza: “Abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria”. (Francesco, Spes non confundit, 19). Tutte le dimensioni del sogno di Dio trovano la loro pienezza solo nel compimento ultimo, e non possono realizzarsi compiutamente tra le contraddizioni e le fragilità del presente. Non è possibile edificare “il paradiso in terra”: chi ci ha provato e magari ha affermato di esserci riuscito non di rado ha prodotto realtà da incubo.

“Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo. […] Infatti quei valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 39).

Tale consapevolezza riveste un’importanza decisiva, poiché ogni impegno per l’ideale deve fronteggiare le realtà della morte, dell’imperfezione, del peccato, del fallimento... di tutto ciò che può gettare un legittimo sospetto sugli sforzi da compiere in direzione del bene. Lo scoraggiamento e il cinismo, infatti, tendono continuamente ag-guati alla speranza: “Tutto è inutile! Non c’è più niente da fare! Si salvi chi può!”.

 

“Peregrinantes in spem”

 Il motto del Giubileo ci fa capire che il sogno di Dio diventa speranza solo se ci mettiamo in cammino: la speranza non è una condizione necessaria per mettersi in viaggio (Papa Francesco non scrive, infatti, in spe), ma qualcosa che si riceve una volta partiti; si è pellegrini “verso la speranza”. Se si rimane immobili, gli ideali e le attese rimangono sogni nel cassetto e nulla cambia, né per le persone, né per le comunità, né per il mondo.

L’esperienza del pellegrinaggio, che Papa Francesco ha rimesso al centro del Giubileo, è da questo puto di vista assai eloquente. Il pellegrino decide di mettersi in viaggio; fatti i primi passi man mano che avanza verso la meta, crescono in lui forza, entusiasmo, decisione, gratitudine… Vive ogni giorno di più orientando tutti i propri sforzi e i propri pensieri alla destinazione del cammino, che ancora non ha raggiunto, ma che in qualche misura possiede ogni giorno un po’ di più e che si impadronisce progressivamente di tutto il suo essere. Vive – appunto – di speranza: il sogno, il desiderio che lo ha affascinato, fino a sollecitarlo a partire, diviene concretamente parte della sua esistenza quotidiana e la trasforma a immagine della meta verso cui si dirige.

I tanti pellegrinaggi, brevi o lunghi, che il Giubileo ci propone di vivere sono una significativa immagine di questo processo salvifico: è possibile accogliere la novità del sogno se - e solo se - si decide di scommettere su di esso iniziando a realizzarlo, cioè muovendo i primi passi del cammino, a volte lungo e avventuroso, che separa la realtà dall’ideale.

 Quando il nuovo fa paura

 Il sogno di Dio da sempre affascina: come non potrebbe? Eppure spesso siamo restii ad accoglierlo, decidendo di non iniziare percorsi di cambiamento. Perché?  A causa di alcune paure, che ci bloccano e ci impediscono di metterci in cammino.

  • La paura del rischio: ogni novità obbliga a intraprendere itinerari sconosciuti, mentre ciò che è abituale ci infonde sicurezza. Non si tratta di essere temerari – amare il rischio per se stesso – ma di accettare la necessaria incertezza che ogni percorso di cambiamento, specialmente se non si tratta di cose da poco, porta con sé.
  • La paura della fatica: ogni novità richiede energia, mentre restare immobili non costa nulla. Rimanere comodi sul proprio divano è una tentazione molto forte, soprattutto quando si ha di fronte uno schermo che dà l’illusione di essere partecipi, quando si è invece niente più che spettatori.
  • La paura del conflitto: ogni trasformazione solleva facilmente contrasti, mentre mantenere lo status quo conserva gli equilibri consolidati. L’inerzia esercita un grande appeal, per-ché libera da responsabilità e impegno: tutto va avanti da sé e nessuno ha nulla da obiettare, se non i pochi – pochi? – che protestano e si possono lasciare inascoltati.

Le paure in questi tempi incerti sembrano acquistare sempre maggiore forza: le guerre, i dissesti ambientali, le migrazioni, la denatalità, le difficoltà economiche, l’individualismo imperante... sono molti i fattori che minano il senso di sicurezza e fiducia, facendo invece crescere l’ansia. Anche le nuove generazioni, quelle naturalmente protese al futuro, guardano al domani con pessimismo, come evidenziano diverse indagini sociologiche. I media, in questo, non aiutano, perché lo spazio dato alle cattive notizie supera di gran lunga quello dei segnali di novità e di bene. 

 

Convertirsi alla speranza

 Come vincere, dunque, le paure, per entrare nella speranza giubilare? Si tratta di vivere una vera e propria conversione, cioè di cambiare modo di pensare. L’esperienza dei pellegrini antichi (e, mutatis mutandis, di quelli contemporanei), come è attestata dai numerosi diari di viaggio che ci sono pervenuti, ci può essere di grande aiuto.

 Dalla paura del rischio all’entusiasmo per l’opportunità

Molto spesso chi partiva per un pellegrinaggio faceva testamento, tanto era alta la consapevolezza del rischio di non tornare a casa, per i molti pericoli collegati al brigantaggio, alle intemperie, alle malattie… Eppure i racconti dei pellegrini trasudano entusiasmo per un’avventura di cui si colgono soprattutto le opportunità, sia spirituali che culturali: visitare i luoghi santi, pregare sulle tombe dei martiri, conoscere nuove terre e nuovi popoli… “cambiare vita”, come scrivo-no spesso i viandanti contemporanei.

Nel cambiamento, la paura dell’inedito e del rischio che esso comporta si può vincere se si mettono a fuoco le opportunità che il cambiamento porta con sé.

 Dalla paura della fatica al desiderio della meta

Il pellegrinaggio era segnato da grandi fatiche: percorrere chilometri in strade incerte, in una natura ostile ed esposti alle intemperie; dormire in condizioni precarie; cibarsi di quanto veniva offerto dalla carità altrui; portare con sé una dotazione minima di oggetti e vestiti. Anche oggi qualche piccolo o grande disagio va messo in conto. Ep-pure l’anelito verso la meta da raggiungere e lo spirito di preghiera rendevano sopportabile ogni sforzo e ogni privazione; anzi, essi di-ventavano un elemento essenziale del viaggio, occasione di penitenza e di conversione a una vita cristiana più semplice e autentica.

L’impegno e gli investimenti di vario genere che ogni novità comporta sono giustificati solo dall’importanza della meta da raggiungere, dal fascino che riveste l’obiettivo del cammino.

 

Dalla paura del conflitto alla cultura dell’incontro

Il pellegrino lasciava non solo la propria casa, ma anche la propria comunità, con i suoi usi e le sue leggi, per addentrarsi in un mondo in parte sconosciuto e abitato da persone con lingue, usanze, norme, economie e tradizioni differenti. Eppure era necessario, attraversando per mesi terre straniere, appoggiarsi agli altri, per sostenersi nel cammino, essere accolti, sfamati, difesi, curati… Superare la diffidenza per vivere incontri all’insegna del dialogo e della fiducia.

Non mancavano incomprensioni e occasioni di scontro, ma più forte di esse era la volontà – la necessità - di trovare modi e ragioni per comprendersi e così andare avanti nel cammino.

I conflitti implicati in ogni cambiamento, sia personale che comunitario, possono essere superati se si è consapevoli che il cambiamento, per diventare effettivo, deve coinvolgere tutti i soggetti in gioco attraverso un dialogo che ne riconosca e ne accolga le ragioni, integrandole nel nuovo scenario.

 Resi nuovi dallo Spirito Santo

 “La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,1-2.5). “È lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, a irradiare nei credenti la luce della speranza: egli la tiene accesa come una fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita. La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino” (Francesco, Spes non confundit, 3).

La grazia dello Spirito Santo “attiva” in noi la vita cristiana, la vita nuova donata dai sacramenti, affinché diventi effettiva con la sua carica di amore, di verità e di bellezza. Solo con il suo aiuto possiamo metterci in cammino.

  • Lo Spirito illumina, perché dona uno sguardo nuovo sulla realtà, letta con gli occhi di Dio. È lui che abilita a intuire la misteriosa, ma reale ed efficace azione della provvidenza nella storia, affinché tale consapevolezza infonda fiducia e aiuti a indirizzare il proprio impegno.
  • Lo Spirito ispira, perché guida a discernere e decidere secondo il Vangelo, non secondo logiche mondane o ideologie. Saper giudicare rettamente e decidere saggiamente è necessario per qualsiasi azione: lo Spirito aiuta a riconoscere dov’è il bene e a tradurre tale prospettiva in decisioni coerenti ed efficaci.
  • Lo Spirito mobilita, perché vince la pigrizia e le resistenze alla conversione. Non basta decidere, se poi non si attua quanto stabilito, investendovi tutte le energie e le risorse necessarie. A volte esse devono essere distolte da altre finalità; a volte si tratta di attivarle ex novo. Del resto, niente si muove o cambia se qualcosa o qualcuno non agisce.
  • Lo Spirito trasforma, perché abilita a vivere da figli di Dio e a realizzare nel mondo il suo Regno. Si attua il cambiamento non solo grazie alle risorse della nostra umanità, ma per la capacità che lo Spirito possiede di “conformare” a Cristo, alla pienezza della sua umanità che si realizza per l’incarnazione.

Ogni processo di accoglienza della novità di Dio nell’esistenza personale, comunitaria e sociale esige dunque l’azione dello Spirito. “La forza dello Spirito Santo […] ci indirizza verso il futuro, verso l’avvento del Regno di Dio. [...] Rafforzata dallo Spirito e attingendo a una ricca visione di fede, una nuova generazione di cristiani è chiamata a contribuire all’edificazione di un mondo in cui la vita sia accolta, rispettata e curata amorevolmente, non respinta o temuta come una minaccia e perciò distrutta. Una nuova era in cui l’amore non sia avido ed egoista, ma puro, fedele e sinceramente libero, aperto agli altri, rispettoso della loro dignità, un amore che promuova il loro bene e irradi gioia e bellezza. Una nuova era nella quale la speranza ci liberi dalla superficialità, dall’apatia e dall’egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani. […] Il mondo ha bisogno di questo rinnovamento! In molte nostre società, accanto alla prosperità materiale, si sta allargando il deserto spirituale: un vuoto interiore, una paura indefinibile, un nascosto senso di disperazione. […] Questo è il grande e liberante dono che il Vangelo porta con sé: esso rivela la nostra dignità di uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio. Rivela la sublime chiamata dell’umanità, che è quella di trovare la propria pienezza nell’amore. Esso dischiude la verità sull’uomo, la verità sulla vita” (Benedetto XVI, Omelia, Sydney 20 luglio 2008, § 10-12).

 

Mettiamoci in cammino!

 Il tempo di Quaresima e quello di Pasqua, in questo Giubileo, possono dunque diventare occasione per mettersi in cammino verso le novità di Dio. La grazia dell’Anno giubilare, rappresentata dalla concessione dell’indulgenza plenaria, ci sostiene nella ricerca di “nuovi inizi” personali, comunitari e sociali. Siamo sollevati dal peso delle colpe passate, con le ferite che il peccato lascia sempre nell’esistenza, e siamo abilitati ad intraprendere percorsi inediti. Cominciamo quindi a muoverci, sapendo che ogni pellegrinaggio, per quanto lungo, ha bisogno dell’umiltà dei primi passi non meno che della gloria degli ultimi. Iniziando a rendere effettivi i sogni di Dio, sperimenteremo nel cuore il sorgere della speranza, che cresce ad ogni passo e rende possibile affrontare le difficoltà del percorso. La meta può essere anche molto lontana, ma ogni piccola realizzazione la anticipa e la rende in qualche modo presente, così che ci troviamo a vivere nella speranza: una speranza presente, operosa, visibile… che dà pienezza e risulta contagiosa. Abbandoniamo progressivamente le disillusioni, le stanchezze, la tristezza, per entrare nella gioia del Regno. “Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore” (Sal  121, 1).

Propongo, come semplice “esercizio spirituale”, una piccola lettura e due facili impegni – come i primi passi di un cammino - per vivere i novanta giorni che vanno dalle Ceneri alla Pentecoste come percorso che aiuti a “rianimare la speranza” (cf. Francesco, Spes non confundit, 1).

 Passi di speranza verso la santità

Leggo il capitolo 4 dell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di papa Francesco.

  • Mi domando: c’è qualcosa che mi impedisce di vivere come figlio di Dio la mia esistenza quotidiana? Cosa dovrei iniziare a lasciare? Mi prendo un piccolo impegno quaresimale di rinuncia a qualcosa che mi allontana da un’esistenza cristiana pienamente vissuta.
  • Mi domando: cosa sono chiamato a fare per esprimere nel quotidiano la vita nuova ricevuta nel battesimo? Nel tempo di Pasqua intraprendo un piccolo e gioioso impegno di cambiamento personale nel tempo pasquale.

 Passi di speranza verso la missione

Leggo il capitolo 5 dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco.

  • Mi domando: cosa mi rende un testimone timido o silenzioso? In Quaresima, torno ogni giorno a leggere il Vangelo e a contemplare con amore la persona di Cristo.
  • Mi domando: cosa posso fare, nell’ambito delle mie relazioni quotidiane, per annunciare la mia fede in Gesù? Condivido con una persona amica, nel tempo pasquale, la gratitudine e la bellezza di appartenere a Cristo nella Chiesa, raccontando qualcosa di bello e di grande che mi è dato di vivere per la fede.

 

Passi di speranza verso la giustizia e la carità

Leggo il capitolo 4 dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco.

  • Mi domando: quali atteggiamenti e comportamenti mi allontanano dai fratelli e mi rendono indifferente ai problemi altrui? In Quaresima mi rendo attento al “grido dei poveri”, informandomi con accuratezza e al di là dei pregiudizi su qualche situazione di povertà e ingiustizia che conosco poco o male.
  • Mi domando: come essere strumento della carità di Dio verso i poveri? Nel tempo di Pasqua vado a conoscere qualche persona che vive una situazione di povertà e mi adopero per fare qualcosa con lui e per lui.

 

Passi di speranza verso la custodia del creato

Leggo il capitolo 6 dell’enciclica Laudato sì di papa Francesco.

  • Mi domando: quali comportamenti quotidiani mi portano a servirmi del creato senza rispetto e senza amore? Nel tempo di quaresima abbandono un’abitudine di inquinamento, di spreco o di indifferenza.
  • Mi domando: quali scelte quotidiane potrebbero esprimere la mia vocazione a essere custode del creato? Mi decido per un piccolo e gioioso impegno di rinnovamento ecologico del mio stile di vita personale o familiare.

 


 

Alcune proposte per l’itinerario

 

Nel percorso 2025, alcune proposte intendono sostenere il cammino comunitario di conversione alla speranza:

  • il ciclo di tre incontri “Pellegrini di speranza” (canale youtube della Diocesi – martedì, ore 21.00). Ogni realtà ecclesiale è invitata a partecipare organizzando gruppi di ascolto: dopo l’intervento videotrasmesso, una scheda aiuterà i presenti a condividere le proprie considerazioni. Questi i giorni e i temi:
    • martedì 11 marzo: fronteggiare il rischio;
    • martedì 25 marzo: sopportare la fatica;
    • martedì 8 aprile: superare il conflitto.
  • le iniziative della Quaresima di carità, volte a sostenere i nostri missionari e le loro opere in Rwanda e in Brasile;
  • il Giubileo degli adolescenti (Roma, 25-27 aprile), che vedrà la partecipazione di oltre 1000 ragazzi della Diocesi e che dovrà essere accompagnato dalle rispettive comunità, affin-ché essi possano portare entusiasmo nelle proprie parrocchie;
  • il Giubileo delle confraternite (Roma, 17 maggio), che coinvolgerà molte Compagnie e Misericordie delle nostre comunità, per riscoprire la loro vocazione a essere agenti di conversione comunitaria nel segno della carità e del servizio;
  • i pellegrinaggi di Area in Cattedrale: la Versilia andrà il 4 maggio, la Piana di Lucca il 25 maggio e la Valle del Serchio il 15 giugno.
  • la novena di Pentecoste, che sarà celebrata in diverse località della Diocesi e culminerà con una grande Veglia itinerante a Lucca, sabato 7 giugno.

 

Vieni, Spirito Santo!

 Nel Giubileo si ricordano i 1700 anni del Concilio di Nicea (325), primo della Chiesa indivisa; mi pare bello concludere questa lettera con un celebre scritto del Patriarca di Costantinopoli Atenagora, composto nel 1968. Aggiungo una preghiera di Santa Elena Guerra, da lei proposta “per chiedere i frutti dello Spirito Santo”: nell’italiano antico degli inizi del ‘900, essa esprime la consapevolezza che le “cose nuove” della santità, della missione, della giustizia e della custodia del creato sono opera dello Spirito, presenza di Dio in noi.

 Senza lo Spirito
Senza lo Spirito Santo
Dio è lontano,
Cristo rimane nel passato,
il Vangelo è lettera morta,
la Chiesa è una semplice organizzazione,
l'autorità è una dominazione,
la missione una propaganda,
il culto un’evocazione,
e l'agire dell'essere umano

una morale da schiavi.

Ma nello Spirito Santo
il cosmo è sollevato
e geme nella gestazione del Regno,
Cristo risorto è presente,
il Vangelo è potenza di vita,
la Chiesa significa comunione trinitaria,
l'autorità è un servizio liberatore,
la missione è una Pentecoste,
la liturgia è memoriale e anticipazione,
l'agire umano è divinizzato.

Patriarca Atenagora

 

 Vieni, Fuoco di Paradiso

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di castità perfetta.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di angelica continenza.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di cristiana modestia.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti d'operosa e costante fedeltà.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di celestiale dolcezza.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di santa lon­ganimità.

Vieni o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di vera e co­stante bontà.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di sopranna­turale benignità.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, e Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di serena e generosa pazienza.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di celeste pace.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di santa e permanente gioia.

Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,

e fa’ che in noi maturino frutti di carità di­vina. 

Santa Elena Guerra

 Buon cammino pasquale a tutti!

 

 Lucca, 11 febbraio 2025

Memoria della BVM di Lourdes

 + Paolo Giulietti

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MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2025

Cari fratelli e sorelle!

Con il segno penitenziale delle ceneri sul capo, iniziamo il pellegrinaggio annuale della santa Quaresima, nella fede e nella speranza. La Chiesa, madre e maestra, ci invita a preparare i nostri cuori e ad aprirci alla grazia di Dio per poter celebrare con grande gioia il trionfo pasquale di Cristo, il Signore, sul peccato e sulla morte, come esclamava San Paolo: «La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor15,54-55). Infatti Gesù Cristo, morto e risorto, è il centro della nostra fede ed è il garante della nostra speranza nella grande promessa del Padre, già realizzata in Lui, il suo Figlio amato: la vita eterna (cfrGv10,28; 17,3).

In questa Quaresima, arricchita dalla grazia dell’Anno Giubilare, desidero offrirvi alcune riflessioni su cosa significa camminare insieme nella speranza, e scoprire gli appelli alla conversione che la misericordia di Dio rivolge a tutti noi, come persone e come comunità.

Prima di tutto,camminare. Il motto del Giubileo “Pellegrini di speranza” fa pensare al lungo viaggio del popolo d’Israele verso la terra promessa, narrato nel libro dell’Esodo: il difficile cammino dalla schiavitù alla libertà, voluto e guidato dal Signore, che ama il suo popolo e sempre gli è fedele. E non possiamo ricordare l’esodo biblico senza pensare a tanti fratelli e sorelle che oggi fuggono da situazioni di miseria e di violenza e vanno in cerca di una vita migliore per sé e i propri cari. Qui sorge un primo richiamo alla conversione, perché siamo tutti pellegrini nella vita, ma ognuno può chiedersi: come mi lascio interpellare da questa condizione? Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità? Cerco percorsi di liberazione dalle situazioni di peccato e di mancanza di dignità? Sarebbe un buon esercizio quaresimale confrontarsi con la realtà concreta di qualche migrante o pellegrino e lasciare che ci coinvolga, in modo da scoprire che cosa Dio ci chiede per essere viaggiatori migliori verso la casa del Padre.

 In secondo luogo, facciamo questo viaggio insieme. Camminare insieme, essere sinodali, questa è la vocazione della Chiesa. I cristiani sono chiamati a fare strada insieme, mai come viaggiatori solitari. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire da noi stessi per andare verso Dio e verso i fratelli, e mai a chiuderci in noi stessi. Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla comune dignità di figli di Dio; significa procedere fianco a fianco, senza calpestare o sopraffare l’altro, senza covare invidia o ipocrisia, senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o si senta escluso. Andiamo nella stessa direzione, verso la stessa meta, ascoltandoci gli uni gli altri con amore e pazienza.

In questa Quaresima, Dio ci chiede di verificare se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi in cui lavoriamo, nelle comunità parrocchiali o religiose, siamo capaci di camminare con gli altri, di ascoltare, di vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni. Chiediamoci davanti al Signore se siamo in grado di lavorare insieme come vescovi, presbiteri, consacrati e laici, al servizio del Regno di Dio; se abbiamo un atteggiamento di accoglienza, con gesti concreti, verso coloro che si avvicinano a noi e a quanti sono lontani; se facciamo sentire le persone parte della comunità o se le teniamo ai margini. Questo è un secondo appello: la conversione alla sinodalità.

 In terzo luogo, compiamo questo cammino insieme nella speranza di una promessa. La speranza che non delude, messaggio centrale del Giubileo, sia per noi l’orizzonte del cammino quaresimale verso la vittoria pasquale. […] Gesù, nostro amore e nostra speranza, è risorto e vive e regna glorioso. La morte è stata trasformata in vittoria e qui sta la fede e la grande speranza dei cristiani: nella risurrezione di Cristo!

Ecco la terza chiamata alla conversione: quella della speranza, della fiducia in Dio e nella sua grande promessa, la vita eterna. Dobbiamo chiederci: ho in me la convinzione che Dio perdona i miei peccati? Oppure mi comporto come se potessi salvarmi da solo? Aspiro alla salvezza e invoco l’aiuto di Dio per accoglierla? Vivo concretamente la speranza che mi aiuta a leggere gli eventi della storia e mi spinge all’impegno per la giustizia, alla fraternità, alla cura della casa comune, facendo in modo che nessuno sia lasciato indietro?

Sorelle e fratelli, grazie all’amore di Dio in Gesù Cristo, siamo custoditi nella speranza che non delude. La speranza è “l’ancora dell’anima”, sicura e salda. In essa la Chiesa prega affinché «tutti gli uomini siano salvati» e attende di essere nella gloria del cielo unita a Cristo, suo sposo. Papa Francesco

 

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La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è una iniziativa ecumenica di preghiera nel quale tutte le confessioni cristiane pregano insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso.

Questa iniziativa è nata in ambito protestante nel 1908 e nel 2008 ha festeggiato il centenario. Dal 1968 il tema e i testi per la preghiera sono elaborati congiuntamente dalla commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, per protestanti e ortodossi, e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, per i cattolici.

La data tradizionale va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della Cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico.

La prima ipotesi di una preghiera per l’unità delle Chiese nasce in ambito protestante alla fine del XVIII secolo; sarà il reverendo Paul Wattson a proporre definitivamente la celebrazione dell’Ottavario che lo celebra per la prima volta a Graymoor (New York), dal 18 al 25 gennaio, auspicando che divenga pratica comune. Nel 1935 l’abate Paul Couturier, in Francia, promuove la Settimana universale di preghiera per l’unità dei cristiani, basata sulla preghiera per «l’unità voluta da Cristo, con i mezzi voluti da lui».

Nella nostra Diocesi già da diversi anni si compie un cammino di preghiera e di confronto che vede uniti cattolici, ortodossi e protestanti.

Queste le prossime iniziative:

Sabato 18 gennaio ore 18,00: Vespri nella Chiesa ortodossa di Sant’Antonio il grande Via S. Anastasio 1, vicino al Boccherini

Martedì 21 gennaio ore 18,00: Meditazione Biblica Ecumenica presso i locali della Chiesa Valdese via Galli Tassi 50, Lucca.

Sabato 25 gennaio ore 15.00 Ecumenical Day per ragazzi (11-14 anni): Salone del palazzo arcivescovile in piazzale Arrigoni 2 a Lucca.

Sabato 25 gennaio ore 21.00 Veglia Ecumenica per la Pace, Chiesa di San Michele in Foro a Lucca

 

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Lucca, 25 novembre 2024

Ai rev.mi Moderatori e Coordinatori delle Chiese-nelle-citta e delle Comunita parrocchiali dell’Arcidiocesi di Lucca

Ai rev.mi Parroci e Rettori di:

- Cattedrale di San Martino

- Basilica di San Frediano

- Chiesa dei Ss. Giovanni e Reparata

- Chiesa parrocchiale di Sant’Anna

- Chiesa parrocchiale dell’Arancio.

LORO SEDI

Carissimi, secondo quanto riportato nella Lettera pastorale Come è possibile?, domenica 29 dicembre pomeriggio si aprira il Giubileo nell’Arcidiocesi di Lucca, con una celebrazione eucaristica preceduta da un breve pellegrinaggio. Vi informo pertanto sulle modalita con cui avverra la cosa:

• nel pomeriggio di domenica 29 dicembre non sara consentita alcuna celebrazione liturgica in tutto il territorio diocesano (eventuali eccezioni, per gravi motivi, andranno autorizzate dal vicario episcopale di Area);

• alle ore 16.00 l’Area pastorale “Piana di Lucca” si ritrovera nella chiesa parrocchiale dell’Arancio, l’Area pastorale “Valle del Serchio” nella basilica di San Frediano e l’Areapastorale “Versilia” nella chiesa parrocchiale di Sant’Anna;

• dopo un momento di preghiera iniziale, da ogni chiesa partira un pellegrinaggio verso la Cattedrale (vedi planimetria allegata): ciascun corteo viaggera in tempi e modi indipendenti dagli altri, anche per cio che riguarda l’ingresso in Cattedrale;

• i pellegrinaggi convergeranno nel battistero di Santa Reparata, per poi compiere l’ultimo tratto verso San Martino;

• ogni Area, con il coordinamento del vicario episcopale, dovra provvedere alla conduzione e all’animazione del proprio pellegrinaggio, cioe : o sulla base di uno schema comune preparato dall’Ufficio liturgico, scegliere testi e canti per il momento iniziale e per il pellegrinaggio, provvedendo a stampare i relativi libretti e guide per l’animazione; o provvedere tutti gli oggetti e i paramenti necessari, ivi compreso l’impianto di amplificazione portatile;
invitare tutte le corali parrocchiali del territorio a eseguire i canti e poi ad animare insieme la celebrazione eucaristica in Cattedrale (il cui semplice repertorio sara inviato ai vicari episcopali nei prossimi giorni);
o provvedere ai lettori e agli altri ministri; o provvedere al servizio d’ordine (almeno 15/20 persone, che dovranno coordinarsi con quello della Cattedrale – Dott. Paolo Mandoli 366.6718348 This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.);

• i presbiteri e i diaconi prenderanno parte al pellegrinaggio vestiti con camice e stola; una volta giunti a Santa Reparata, si fermeranno lì , per indossare casule e dalmatiche e quindi compiere la processione introitale tutti insieme (ore17.30);

• i membri delle Confraternite prenderanno parte al pellegrinaggio con i propri abiti processionale, ma senza lampioni o stendardi;

• durante la celebrazione eucaristica le offerte in denaro saranno impiegate per realizzare il segno giubilare diocesano (“polo della carita ” nella citta di Viareggio). Invito tutti ad essere presenti e a incoraggiare la partecipazione dei fedeli a questo momento di grande importanza per il cammino dell’anno giubilare; ringrazio sin d’ora quanti si impegneranno per assicurare la riuscita della celebrazione.

Vi saluto e vi benedico di cuore.

+ Paolo Giulietti

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Ecco "Dilexit nos", quarta enciclica di Francesco, dedicata al Sacro Cuore. «L'amore gratuito di Cristo libera dal perverso ingranaggio in cui, nella società liquida, tutto si vende e si compra»

 

Forse non è sbagliato cominciare a leggere la nuova enciclica di papa Francesco, Dilexit nos (ci ha amati) dalla fine. E precisamente dalla preghiera del Pontefice che troviamo nelle ultime righe del testo dedicato al culto del Sacro Cuore di Gesù. Perché nella preghiera che papa Bergoglio scrive c'è il nucleo essenziale del suo messaggio. “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!”.

Dilexit nos, infatti non è solo un testo magisteriale, ma anche una grande e appassionata dichiarazione d'amore per Colui che ci ha amato fino alla fine e che come disse a santa Margherita Maria Alacoque, nel corso delle sue apparizioni tra la fine di dicembre 1673 e il giugno 1675. rappresenta "quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo Amore (citazione tratta dal paragrafo 121 dell'enciclica). Francesco infatti, con questa sua quarta enciclica ha un intento dichiarato. Quello di offrire a un mondo che ha smarrito il cuore, la visione del Cuore di Gesù, come centro unificante dell'amore sempre nuovo di Dio per gli uomini e per le donne di ogni tempo e come fonte da cui sgorga quella che san Giovanni Paolo II, citato espressamente, chiamava civiltà dell'amore. Contro le guerre che devastano il mondo, contro ogni inimicizia, contro le ferite inflitte al creato, scrive infatti il Pontefice, ritornare al Cuore di Gesù è l'unica strada. E a tal proposito il Papa definisce questa encilica anche come l'ideale prosecuzione del discorso iniziato con Laudato si' e Fratelli tutti.

 

Il documento, di agile lettura (>>qui il link al testo integrale), è aperto da una breve introduzione e si articola in cinque capitoli e una conclusione, raccogliendo, come preannunciato dal Papa a giugno, “le preziose riflessioni di testi magisteriali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture, per riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale”. Il tutto mentre sono in corso le celebrazioni per il 350° anniversario della prima manifestazione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque, nel 1673, che si chiuderanno il 27 giugno 2025.

Capitolo 1: il mondo può cambiare a partire dal cuore

Il primo capitolo, “L’importanza del cuore”, spiega perché serva “ritornare a parlare al cuore” in un mondo liquido nel quale siamo tentati di “diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato”. Il cuore è infatti il luogo "dove siamo noi stessi”, dove risiedono le domande di senso sulla vita, le scelte, le azioni, "chi sono davanti a Dio". Il Papa sottolinea che l’attuale svalutazione del cuore nasce “nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo”, così che nel grande pensiero filosofico si sono preferiti concetti come quelli di “ragione, volontà o libertà”. E non trovando posto per il cuore, “non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale” che può unificare tutto, e cioè l’amore. Invece, ricorda Francesco, “io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone”. È il cuore “che unisce i frammenti” e rende possibile “qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo”. E questo ha conseguenze sociali, perché il mondo può cambiare “a partire dal cuore”.

Capitolo 2: ​gesti e parole d'amore di Gesù

Il secondo capitolo riporta i gesti e le parole d’amore di Cristo, che ci tratta come amici e mostra che Dio “è vicinanza, compassione e tenerezza” (ad esempio gli incontri con la samaritana, con Nicodemo, con la prostituta, con la donna adultera e con il cieco sulla strada). Il suo sguardo, che “scruta l’intimo del tuo essere”, scrive il Papa, mostra che Gesù “presta tutta la sua attenzione alle persone, alle loro preoccupazioni, alle loro sofferenze”. Egli inoltre ammira "le cose buone che riconosce in noi” come nel centurione, anche se gli altri le ignorano. Ma la sua parola d’amore più eloquente è l’essere “inchiodato sulla Croce”, dopo aver pianto per l’amico Lazzaro e aver sofferto nell’Orto degli Ulivi, consapevole della propria morte violenta “per mano di quelli che Lui tanto amava”.

Capitolo 3: la devozione al Sacro Cuore sintesi del Vangelo

Nel terzo capitolo, “Questo è il cuore che ha tanto amato”, il Pontefice ricorda come la Chiesa ha sempre riflettuto “sul santo mistero del Cuore del Signore”. Cita perciò l’Enciclica di Pio XII Haurietis aquas del 1956, sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù. Chiarisce che “la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù”, perché noi adoriamo “Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore”. L’immagine del cuore di carne, sottolinea il Papa, ci aiuta a contemplare, nella devozione, che “l’amore del Cuore di Gesù Cristo, non comprende soltanto la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell’affetto umano”. Secondo Benedetto XVI, il suo Cuore contiene infatti un “triplice amore”: quello sensibile del suo cuore fisico “e il suo duplice amore spirituale, l’umano e il divino”, in cui troviamo “l’infinito nel finito”. Il Pontefice invita poi a rinnovare la devozione al Cuore di Cristo anche per contrastare “nuove manifestazioni di una ‘spiritualità senza carne’ che si moltiplicano nella società”. È necessario tornare alla “sintesi incarnata del Vangelo” davanti a “comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti”.

 

Capitolo 4: il Sacro Cuore fonte di spiritualità

Il quarto capitolo, “L’amore che dà da bere”, rilegge le Sacre Scritture, e con i primi cristiani, riconosce nel costato aperto di Cristo una sorgente per placare la sete dell’amore di Dio e “per lavare il peccato e l’impurità”. Diversi Padri della Chiesa hanno menzionato “la ferita del costato di Gesù come origine dell’acqua dello Spirito”, su tutti Sant’Agostino, che “ha aperto la strada alla devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore”. A poco a poco questo costato ferito, ricorda il Papa, “venne assumendo la figura del cuore”, ed elenca i santi e le sante che hanno alimentato questa devozione, tra gli altri. San Francesco di Sales, che raffigura la sua proposta di vita spirituale con “un cuore trafitto da due frecce, racchiuso in una corona di spine”, la già citata Santa Margherita Maria Alacoque, Santa Teresa di Lisieux che chiamava Gesù “Colui il cui cuore batteva all’unisono col mio” e che nelle lettere alla sorella suor Maria invitava a non concentrare la devozione al Sacro Cuore “su un aspetto doloristico”, ma sulla fiducia “come la migliore offerta, gradita al Cuore di Cristo”. Non poteva mancare da parte di papa Francesco un riferimento a Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, che nei suoi Esercizi Spirituali propone “di entrare nel Cuore di Cristo” in un dialogo da cuore a cuore. Infine le esperienze di Santa Faustina Kowalska rinnovano la devozione “con un forte accento sulla vita gloriosa del Risorto e sulla misericordia divina”. E anche san Giovanni Paolo II “ha collegato intimamente la sua riflessione sulla misericordia con la devozione al Cuore di Cristo”. Il Papa infine, in questo capitolo chiede “che nessuno si faccia beffe delle espressioni di fervore credente del santo popolo fedele di Dio, che nella sua pietà popolare cerca di consolare Cristo”. Perché poi “desiderosi di consolarlo, ne usciamo consolati” e “possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione”.

Capitolo 5: dal Sacro Cuore la missione di far innamorare il mondo

Nell'ultimo capitolo “Amore per amore” il Papa approfondisce la dimensione comunitaria, sociale e missionaria di ogni autentica devozione al Cuore di Cristo, che, nel momento in cui “ci conduce al Padre, ci invia ai fratelli”. Infatti l’amore per i fratelli è il “gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore”. Guardando alla storia della spiritualità, il Pontefice ricorda che l’impegno missionario di San Charles de Foucauld lo rese “fratello universale”: “lasciandosi plasmare dal Cuore di Cristo, voleva ospitare nel suo cuore fraterno tutta l’umanità sofferente”. Francesco parla poi della “riparazione”, come spiegava San Giovanni Paolo II: “Offrendoci insieme al Cuore di Cristo, sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo”. E sempre papa Wojtyla accostava “la consacrazione al Cuore di Cristo all’azione missionaria della Chiesa stessa, perché risponde al desiderio del Cuore di Gesù di propagare nel mondo, attraverso le membra del suo Corpo, la sua dedizione totale al Regno». Di conseguenza, attraverso i cristiani, «l’amore sarà riversato nei cuori degli uomini, perché si edifichi il corpo di Cristo che è la Chiesa e si costruisca anche una società di giustizia, pace e fratellanza». Per evitare il grande rischio, sottolineato da san Paolo VI, che nella missione “si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo”, servono “missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo”.

Conclusione: L'amore di Cristo antidoto alla febbre del denaro

Nella conclusione, papa Francesco offre la prospettiva del cammino che parte dal Sacro Cuore: "Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre. Ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità. Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità".

 

Casa parrocchiale

Piazza don Carlo Matteoni, 9
Segreteria: da lunedì a giovedì
dalle ore 16,00 alle ore 19,00

tel. 0583 414082

 

Contatti

Don Agostino te. 353 4594727

Don Luigi tel. 345 3095444

Don Samuele tel. 333 3885531

Suore San Giuseppe te. 351 9283022

 

S.Messe festive

Sabato e vigilia delle feste:
ore 17,00 chiesa San Pancrazio

ore 18,00 chiesa d Marlia

Domenica   

ore 10,30 chiesa di Marlia
ore 11,00 chiesa di Matraia

 

 

S.Messe feriali

Cappella S. Emilia   
ore 08,15: Lodi    ore 08,30: S. Messa   
(no mercoledì e sabato)
 
Confessioni:     sabato ore 17,30

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