FACCIO NUOVE TUTTE LE COSE
CONVERTIRSI ALLA SPERANZA NELL’ANNO DI GRAZIA DEL SIGNORE
LETTERA PASQUALE
Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa.
Is 43, 18.19
Caro fratello, cara sorella,
il Giubileo che stiamo vivendo, centrato sulla speranza, non può non connotare il percorso di novanta giorni che si colloca al cuore dell’anno liturgico e ci trasporta dalle Ceneri a Pentecoste. Come ha detto Papa Francesco, “Il Giubileo è per le persone e per la Terra un nuovo inizio; è un tempo dove tutto va ripensato dentro il sogno di Dio. E sappiamo che la parola conversione indica un cambiamento di direzione. Tutto si può vedere, finalmente, da un’altra prospettiva e così anche i nostri passi vanno verso mete nuove. Così sorge la speranza che mai delude. La Bibbia racconta questo in molti modi. E anche per noi l’esperienza della fede è stata stimolata dall’incontro con persone che nella vita hanno saputo cambiare e sono, per così dire, entrate nei sogni Dio. Infatti, anche se nel mondo c’è tanto male, noi possiamo distinguere chi è diverso: la sua grandezza, che coincide spesso con la piccolezza, ci conquista” (Francesco, Catechesi, 1 febbraio 2025). La novità di Dio ci si fa incontro e ci sollecita ad accoglierla nella speranza.
Il sogno di Dio
Qual è il sogno di Dio, che egli con rinnovata fiducia ci ripropone e con rinnovata misericordia ci abilita ad accogliere e realizzare nell’anno giubilare? Proviamo a riassumerlo.
Il sogno della santità per ogni battezzato
In Cristo ciascuno di noi è stato misteriosamente scelto da Dio, a preferenza di altri, per essere suo figlio, cioè per vivere “come farebbe Gesù”, con la forza dello Spirito Santo, la propria esistenza quotidiana. È la vita nuova donataci nel Battesimo, che rende diverso e migliore ogni ambito dell’esperienza personale e comunitaria, senza escludere alcuna situazione. “Le vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno. […] È ora di riproporre a tutti con convinzione questa ‘misura alta’ della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 31). La chiamata a vivere nella santità sembra essere fuori dalla nostra portata; è invece questo che Dio desidera per noi e che non dipende prima di tutto dalle qualità e dalle energie di ciascuno, ma si realizza per l’opera dello Spirito.
Il sogno della missione per la Chiesa
Dio si è scelto un popolo perché continui la missione di Gesù di annunciare a tutti la salvezza che viene da lui: una Chiesa-in-uscita. Dal giorno di Pentecoste è questa la vocazione di ogni comunità cristiana. “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. […] Ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale” (Francesco, Evangelii gaudium, 27). Anche in questo caso, l’efficacia della missione – come è accaduto per gli Apostoli – non è legata alla persona dell’evangelizzatore, ma alla potenza dello Spirito che guida la Chiesa e agisce in ogni sua attività.
Il sogno della giustizia per l’umanità
Nel progetto di Dio, tutti gli uomini e tutti i popoli, con le loro infinite differenze, sono fratelli, chiamati a incontrarsi per arricchirsi e sostenersi reciprocamente; tutte le persone, poi, hanno una dignità infinita, in ogni condizione e in ogni fase della loro esistenza, dal concepimento alla morte naturale. La Chiesa è chiamata a creare legami di amicizia e d’amore tra le persone e tra i popoli, affinché tutti siano legati a Dio, Padre dell’umanità. “Ecco un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella avventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […].Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme. Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (Francesco, Fratelli tutti, 8). In un mondo sempre più diviso e segnato dall’inequità, questa prospettiva può sembrare non realistica; è invece l’unica strada davvero sensata per assicurare agli uomini un futuro in questo pianeta. Lo Spirito incessantemente illumina e sostiene i credenti in direzione della giustizia e della pace, nelle piccole e grandi scelte della vita personale e comunitaria.
Il sogno del rispetto per la Terra
Dio ha affidato la terra alle mani dell’uomo perché la coltivi e la custodisca, non come despota e sfruttatore, ma come collaboratore del Creatore, per farne un giardino bello e accogliente per ogni essere vivente. “Se i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, è perché i deserti interiori sono diventati così ampi. La crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. […], che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana” (Francesco, Laudato si’, 217). Lo Spirito ci chiama e ci abilita a realizzare una meravigliosa armonia.
La “beata speranza”
È importante ricordare che il sogno di Dio è destinato a compiersi alla fine dei tempi: “Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2Pt 3,13). Questo orizzonte conferisce forza e sostanza alla nostra speranza: “Abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria”. (Francesco, Spes non confundit, 19). Tutte le dimensioni del sogno di Dio trovano la loro pienezza solo nel compimento ultimo, e non possono realizzarsi compiutamente tra le contraddizioni e le fragilità del presente. Non è possibile edificare “il paradiso in terra”: chi ci ha provato e magari ha affermato di esserci riuscito non di rado ha prodotto realtà da incubo.
“Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo. […] Infatti quei valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 39).
Tale consapevolezza riveste un’importanza decisiva, poiché ogni impegno per l’ideale deve fronteggiare le realtà della morte, dell’imperfezione, del peccato, del fallimento... di tutto ciò che può gettare un legittimo sospetto sugli sforzi da compiere in direzione del bene. Lo scoraggiamento e il cinismo, infatti, tendono continuamente ag-guati alla speranza: “Tutto è inutile! Non c’è più niente da fare! Si salvi chi può!”.
“Peregrinantes in spem”
Il motto del Giubileo ci fa capire che il sogno di Dio diventa speranza solo se ci mettiamo in cammino: la speranza non è una condizione necessaria per mettersi in viaggio (Papa Francesco non scrive, infatti, in spe), ma qualcosa che si riceve una volta partiti; si è pellegrini “verso la speranza”. Se si rimane immobili, gli ideali e le attese rimangono sogni nel cassetto e nulla cambia, né per le persone, né per le comunità, né per il mondo.
L’esperienza del pellegrinaggio, che Papa Francesco ha rimesso al centro del Giubileo, è da questo puto di vista assai eloquente. Il pellegrino decide di mettersi in viaggio; fatti i primi passi man mano che avanza verso la meta, crescono in lui forza, entusiasmo, decisione, gratitudine… Vive ogni giorno di più orientando tutti i propri sforzi e i propri pensieri alla destinazione del cammino, che ancora non ha raggiunto, ma che in qualche misura possiede ogni giorno un po’ di più e che si impadronisce progressivamente di tutto il suo essere. Vive – appunto – di speranza: il sogno, il desiderio che lo ha affascinato, fino a sollecitarlo a partire, diviene concretamente parte della sua esistenza quotidiana e la trasforma a immagine della meta verso cui si dirige.
I tanti pellegrinaggi, brevi o lunghi, che il Giubileo ci propone di vivere sono una significativa immagine di questo processo salvifico: è possibile accogliere la novità del sogno se - e solo se - si decide di scommettere su di esso iniziando a realizzarlo, cioè muovendo i primi passi del cammino, a volte lungo e avventuroso, che separa la realtà dall’ideale.
Quando il nuovo fa paura
Il sogno di Dio da sempre affascina: come non potrebbe? Eppure spesso siamo restii ad accoglierlo, decidendo di non iniziare percorsi di cambiamento. Perché? A causa di alcune paure, che ci bloccano e ci impediscono di metterci in cammino.
- La paura del rischio: ogni novità obbliga a intraprendere itinerari sconosciuti, mentre ciò che è abituale ci infonde sicurezza. Non si tratta di essere temerari – amare il rischio per se stesso – ma di accettare la necessaria incertezza che ogni percorso di cambiamento, specialmente se non si tratta di cose da poco, porta con sé.
- La paura della fatica: ogni novità richiede energia, mentre restare immobili non costa nulla. Rimanere comodi sul proprio divano è una tentazione molto forte, soprattutto quando si ha di fronte uno schermo che dà l’illusione di essere partecipi, quando si è invece niente più che spettatori.
- La paura del conflitto: ogni trasformazione solleva facilmente contrasti, mentre mantenere lo status quo conserva gli equilibri consolidati. L’inerzia esercita un grande appeal, per-ché libera da responsabilità e impegno: tutto va avanti da sé e nessuno ha nulla da obiettare, se non i pochi – pochi? – che protestano e si possono lasciare inascoltati.
Le paure in questi tempi incerti sembrano acquistare sempre maggiore forza: le guerre, i dissesti ambientali, le migrazioni, la denatalità, le difficoltà economiche, l’individualismo imperante... sono molti i fattori che minano il senso di sicurezza e fiducia, facendo invece crescere l’ansia. Anche le nuove generazioni, quelle naturalmente protese al futuro, guardano al domani con pessimismo, come evidenziano diverse indagini sociologiche. I media, in questo, non aiutano, perché lo spazio dato alle cattive notizie supera di gran lunga quello dei segnali di novità e di bene.
Convertirsi alla speranza
Come vincere, dunque, le paure, per entrare nella speranza giubilare? Si tratta di vivere una vera e propria conversione, cioè di cambiare modo di pensare. L’esperienza dei pellegrini antichi (e, mutatis mutandis, di quelli contemporanei), come è attestata dai numerosi diari di viaggio che ci sono pervenuti, ci può essere di grande aiuto.
Dalla paura del rischio all’entusiasmo per l’opportunità
Molto spesso chi partiva per un pellegrinaggio faceva testamento, tanto era alta la consapevolezza del rischio di non tornare a casa, per i molti pericoli collegati al brigantaggio, alle intemperie, alle malattie… Eppure i racconti dei pellegrini trasudano entusiasmo per un’avventura di cui si colgono soprattutto le opportunità, sia spirituali che culturali: visitare i luoghi santi, pregare sulle tombe dei martiri, conoscere nuove terre e nuovi popoli… “cambiare vita”, come scrivo-no spesso i viandanti contemporanei.
Nel cambiamento, la paura dell’inedito e del rischio che esso comporta si può vincere se si mettono a fuoco le opportunità che il cambiamento porta con sé.
Dalla paura della fatica al desiderio della meta
Il pellegrinaggio era segnato da grandi fatiche: percorrere chilometri in strade incerte, in una natura ostile ed esposti alle intemperie; dormire in condizioni precarie; cibarsi di quanto veniva offerto dalla carità altrui; portare con sé una dotazione minima di oggetti e vestiti. Anche oggi qualche piccolo o grande disagio va messo in conto. Ep-pure l’anelito verso la meta da raggiungere e lo spirito di preghiera rendevano sopportabile ogni sforzo e ogni privazione; anzi, essi di-ventavano un elemento essenziale del viaggio, occasione di penitenza e di conversione a una vita cristiana più semplice e autentica.
L’impegno e gli investimenti di vario genere che ogni novità comporta sono giustificati solo dall’importanza della meta da raggiungere, dal fascino che riveste l’obiettivo del cammino.
Dalla paura del conflitto alla cultura dell’incontro
Il pellegrino lasciava non solo la propria casa, ma anche la propria comunità, con i suoi usi e le sue leggi, per addentrarsi in un mondo in parte sconosciuto e abitato da persone con lingue, usanze, norme, economie e tradizioni differenti. Eppure era necessario, attraversando per mesi terre straniere, appoggiarsi agli altri, per sostenersi nel cammino, essere accolti, sfamati, difesi, curati… Superare la diffidenza per vivere incontri all’insegna del dialogo e della fiducia.
Non mancavano incomprensioni e occasioni di scontro, ma più forte di esse era la volontà – la necessità - di trovare modi e ragioni per comprendersi e così andare avanti nel cammino.
I conflitti implicati in ogni cambiamento, sia personale che comunitario, possono essere superati se si è consapevoli che il cambiamento, per diventare effettivo, deve coinvolgere tutti i soggetti in gioco attraverso un dialogo che ne riconosca e ne accolga le ragioni, integrandole nel nuovo scenario.
Resi nuovi dallo Spirito Santo
“La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,1-2.5). “È lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, a irradiare nei credenti la luce della speranza: egli la tiene accesa come una fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita. La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino” (Francesco, Spes non confundit, 3).
La grazia dello Spirito Santo “attiva” in noi la vita cristiana, la vita nuova donata dai sacramenti, affinché diventi effettiva con la sua carica di amore, di verità e di bellezza. Solo con il suo aiuto possiamo metterci in cammino.
- Lo Spirito illumina, perché dona uno sguardo nuovo sulla realtà, letta con gli occhi di Dio. È lui che abilita a intuire la misteriosa, ma reale ed efficace azione della provvidenza nella storia, affinché tale consapevolezza infonda fiducia e aiuti a indirizzare il proprio impegno.
- Lo Spirito ispira, perché guida a discernere e decidere secondo il Vangelo, non secondo logiche mondane o ideologie. Saper giudicare rettamente e decidere saggiamente è necessario per qualsiasi azione: lo Spirito aiuta a riconoscere dov’è il bene e a tradurre tale prospettiva in decisioni coerenti ed efficaci.
- Lo Spirito mobilita, perché vince la pigrizia e le resistenze alla conversione. Non basta decidere, se poi non si attua quanto stabilito, investendovi tutte le energie e le risorse necessarie. A volte esse devono essere distolte da altre finalità; a volte si tratta di attivarle ex novo. Del resto, niente si muove o cambia se qualcosa o qualcuno non agisce.
- Lo Spirito trasforma, perché abilita a vivere da figli di Dio e a realizzare nel mondo il suo Regno. Si attua il cambiamento non solo grazie alle risorse della nostra umanità, ma per la capacità che lo Spirito possiede di “conformare” a Cristo, alla pienezza della sua umanità che si realizza per l’incarnazione.
Ogni processo di accoglienza della novità di Dio nell’esistenza personale, comunitaria e sociale esige dunque l’azione dello Spirito. “La forza dello Spirito Santo […] ci indirizza verso il futuro, verso l’avvento del Regno di Dio. [...] Rafforzata dallo Spirito e attingendo a una ricca visione di fede, una nuova generazione di cristiani è chiamata a contribuire all’edificazione di un mondo in cui la vita sia accolta, rispettata e curata amorevolmente, non respinta o temuta come una minaccia e perciò distrutta. Una nuova era in cui l’amore non sia avido ed egoista, ma puro, fedele e sinceramente libero, aperto agli altri, rispettoso della loro dignità, un amore che promuova il loro bene e irradi gioia e bellezza. Una nuova era nella quale la speranza ci liberi dalla superficialità, dall’apatia e dall’egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani. […] Il mondo ha bisogno di questo rinnovamento! In molte nostre società, accanto alla prosperità materiale, si sta allargando il deserto spirituale: un vuoto interiore, una paura indefinibile, un nascosto senso di disperazione. […] Questo è il grande e liberante dono che il Vangelo porta con sé: esso rivela la nostra dignità di uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio. Rivela la sublime chiamata dell’umanità, che è quella di trovare la propria pienezza nell’amore. Esso dischiude la verità sull’uomo, la verità sulla vita” (Benedetto XVI, Omelia, Sydney 20 luglio 2008, § 10-12).
Mettiamoci in cammino!
Il tempo di Quaresima e quello di Pasqua, in questo Giubileo, possono dunque diventare occasione per mettersi in cammino verso le novità di Dio. La grazia dell’Anno giubilare, rappresentata dalla concessione dell’indulgenza plenaria, ci sostiene nella ricerca di “nuovi inizi” personali, comunitari e sociali. Siamo sollevati dal peso delle colpe passate, con le ferite che il peccato lascia sempre nell’esistenza, e siamo abilitati ad intraprendere percorsi inediti. Cominciamo quindi a muoverci, sapendo che ogni pellegrinaggio, per quanto lungo, ha bisogno dell’umiltà dei primi passi non meno che della gloria degli ultimi. Iniziando a rendere effettivi i sogni di Dio, sperimenteremo nel cuore il sorgere della speranza, che cresce ad ogni passo e rende possibile affrontare le difficoltà del percorso. La meta può essere anche molto lontana, ma ogni piccola realizzazione la anticipa e la rende in qualche modo presente, così che ci troviamo a vivere nella speranza: una speranza presente, operosa, visibile… che dà pienezza e risulta contagiosa. Abbandoniamo progressivamente le disillusioni, le stanchezze, la tristezza, per entrare nella gioia del Regno. “Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore” (Sal 121, 1).
Propongo, come semplice “esercizio spirituale”, una piccola lettura e due facili impegni – come i primi passi di un cammino - per vivere i novanta giorni che vanno dalle Ceneri alla Pentecoste come percorso che aiuti a “rianimare la speranza” (cf. Francesco, Spes non confundit, 1).
Passi di speranza verso la santità
Leggo il capitolo 4 dell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di papa Francesco.
- Mi domando: c’è qualcosa che mi impedisce di vivere come figlio di Dio la mia esistenza quotidiana? Cosa dovrei iniziare a lasciare? Mi prendo un piccolo impegno quaresimale di rinuncia a qualcosa che mi allontana da un’esistenza cristiana pienamente vissuta.
- Mi domando: cosa sono chiamato a fare per esprimere nel quotidiano la vita nuova ricevuta nel battesimo? Nel tempo di Pasqua intraprendo un piccolo e gioioso impegno di cambiamento personale nel tempo pasquale.
Passi di speranza verso la missione
Leggo il capitolo 5 dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco.
- Mi domando: cosa mi rende un testimone timido o silenzioso? In Quaresima, torno ogni giorno a leggere il Vangelo e a contemplare con amore la persona di Cristo.
- Mi domando: cosa posso fare, nell’ambito delle mie relazioni quotidiane, per annunciare la mia fede in Gesù? Condivido con una persona amica, nel tempo pasquale, la gratitudine e la bellezza di appartenere a Cristo nella Chiesa, raccontando qualcosa di bello e di grande che mi è dato di vivere per la fede.
Passi di speranza verso la giustizia e la carità
Leggo il capitolo 4 dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco.
- Mi domando: quali atteggiamenti e comportamenti mi allontanano dai fratelli e mi rendono indifferente ai problemi altrui? In Quaresima mi rendo attento al “grido dei poveri”, informandomi con accuratezza e al di là dei pregiudizi su qualche situazione di povertà e ingiustizia che conosco poco o male.
- Mi domando: come essere strumento della carità di Dio verso i poveri? Nel tempo di Pasqua vado a conoscere qualche persona che vive una situazione di povertà e mi adopero per fare qualcosa con lui e per lui.
Passi di speranza verso la custodia del creato
Leggo il capitolo 6 dell’enciclica Laudato sì di papa Francesco.
- Mi domando: quali comportamenti quotidiani mi portano a servirmi del creato senza rispetto e senza amore? Nel tempo di quaresima abbandono un’abitudine di inquinamento, di spreco o di indifferenza.
- Mi domando: quali scelte quotidiane potrebbero esprimere la mia vocazione a essere custode del creato? Mi decido per un piccolo e gioioso impegno di rinnovamento ecologico del mio stile di vita personale o familiare.
Alcune proposte per l’itinerario
Nel percorso 2025, alcune proposte intendono sostenere il cammino comunitario di conversione alla speranza:
- il ciclo di tre incontri “Pellegrini di speranza” (canale youtube della Diocesi – martedì, ore 21.00). Ogni realtà ecclesiale è invitata a partecipare organizzando gruppi di ascolto: dopo l’intervento videotrasmesso, una scheda aiuterà i presenti a condividere le proprie considerazioni. Questi i giorni e i temi:
- martedì 11 marzo: fronteggiare il rischio;
- martedì 25 marzo: sopportare la fatica;
- martedì 8 aprile: superare il conflitto.
- le iniziative della Quaresima di carità, volte a sostenere i nostri missionari e le loro opere in Rwanda e in Brasile;
- il Giubileo degli adolescenti (Roma, 25-27 aprile), che vedrà la partecipazione di oltre 1000 ragazzi della Diocesi e che dovrà essere accompagnato dalle rispettive comunità, affin-ché essi possano portare entusiasmo nelle proprie parrocchie;
- il Giubileo delle confraternite (Roma, 17 maggio), che coinvolgerà molte Compagnie e Misericordie delle nostre comunità, per riscoprire la loro vocazione a essere agenti di conversione comunitaria nel segno della carità e del servizio;
- i pellegrinaggi di Area in Cattedrale: la Versilia andrà il 4 maggio, la Piana di Lucca il 25 maggio e la Valle del Serchio il 15 giugno.
- la novena di Pentecoste, che sarà celebrata in diverse località della Diocesi e culminerà con una grande Veglia itinerante a Lucca, sabato 7 giugno.
Vieni, Spirito Santo!
Nel Giubileo si ricordano i 1700 anni del Concilio di Nicea (325), primo della Chiesa indivisa; mi pare bello concludere questa lettera con un celebre scritto del Patriarca di Costantinopoli Atenagora, composto nel 1968. Aggiungo una preghiera di Santa Elena Guerra, da lei proposta “per chiedere i frutti dello Spirito Santo”: nell’italiano antico degli inizi del ‘900, essa esprime la consapevolezza che le “cose nuove” della santità, della missione, della giustizia e della custodia del creato sono opera dello Spirito, presenza di Dio in noi.
Senza lo Spirito
Senza lo Spirito Santo
Dio è lontano,
Cristo rimane nel passato,
il Vangelo è lettera morta,
la Chiesa è una semplice organizzazione,
l'autorità è una dominazione,
la missione una propaganda,
il culto un’evocazione,
e l'agire dell'essere umano
una morale da schiavi.
Ma nello Spirito Santo
il cosmo è sollevato
e geme nella gestazione del Regno,
Cristo risorto è presente,
il Vangelo è potenza di vita,
la Chiesa significa comunione trinitaria,
l'autorità è un servizio liberatore,
la missione è una Pentecoste,
la liturgia è memoriale e anticipazione,
l'agire umano è divinizzato.
Patriarca Atenagora
Vieni, Fuoco di Paradiso
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di castità perfetta.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di angelica continenza.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di cristiana modestia.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti d'operosa e costante fedeltà.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di celestiale dolcezza.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di santa longanimità.
Vieni o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di vera e costante bontà.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di soprannaturale benignità.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, e Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di serena e generosa pazienza.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di celeste pace.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di santa e permanente gioia.
Vieni, o Fuoco di Paradiso, o Alito della Divinità,
e fa’ che in noi maturino frutti di carità divina.
Santa Elena Guerra
Buon cammino pasquale a tutti!
Lucca, 11 febbraio 2025
Memoria della BVM di Lourdes
+ Paolo Giulietti