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Agli studenti e alle loro famiglie,

ai dirigenti scolastici,

al personale docente e non docente

delle scuole di ogni ordine e grado

dell’Arcidiocesi di Lucca

 

Cari amici e care amiche,

l’estate appena trascorsa fornisce molti spunti per l’avvio di questo nuovo anno scolastico:

ci sono stati tristi episodi di cronaca che hanno acceso il dibattito sul disagio adolescenziale; alcune esaltanti imprese sportive hanno non solo suscitato una riflessione sulla cittadinanza, ma hanno posto l’accento sulle energie positive di tanti giovani, che hanno dato lustro al nostro Paese con i loro successi nelle competizioni olimpiche.

Mi sembra che quest’ultima esperienza vada valorizzata e proposta come beneaugurante esempio per tutto il mondo della scuola, soprattutto per quello che riguarda gli atleti paralimipici, di cui proprio nei giorni scorsi si è molto parlato, raccontandone le storie in occasione delle loro tante vittorie. Si tratta di uomini e donne che hanno vissuto situazioni difficili, in seguito a incidenti o malattie, ma che non si sono dati per vinti: hanno avuto la forza di reagire, trovando in uno sport gli stimoli per provare a dare il meglio di sé.

A ben vedere, la scuola dovrebbe fare questo: aiutare bambini, ragazzi e giovani a tirare fuori il meglio di sé, proprio a partire dalla constatazione che nessuno è perfetto e che tutti hanno dei limiti con cui fare i conti. Viviamo in una società nella quale si fa fatica a riconoscere errori e difetti: vorremmo tutti essere impeccabili, da ogni punto di vista. Chi non è perfetto o non risponde a certi standard viene facilmente scartato, deriso, persino bullizzato. Anche di fronte a qualche insuccesso scolastico – un brutto voto, la sanzione a un comportamento sbagliato, l’errore di un docente… - si reagisce male; al di là del giusto dispiacere, scattano proteste o ricorsi e volano accuse reciproche. La colpa o il difetto sono sempre di qualcun altro, perché nessuno sa più riconoscere e sopportare i limiti propri, deipropri figli o degli insegnanti. Non parliamo poi del chiedere scusa!

 All’inizio di questo anno scolastico, i nostri favolosi atleti disabili ci incoraggiano a non ignorare che le persone e la realtà sono intrisi di limitazioni. Non esistono la scuola perfetta, il docente perfetto, lo studente o il genitore perfetto. Tutte le cose e tutti gli altri sono pieni di difetti, anche se non vorremmo che fosse così. Chi pretende di eliminare i problemi spesso ne crea di più grandi; chi fa finta che non ci siano viene meno al proprio compito educativo o di crescita. Fare del nostro meglio e aiutare gli altri a fare altrettantoè l’unica via d’uscita. Così le persone e le cose si migliorano, un po’ alla volta, e vengono fuori dei risultati spesso sorprendenti.

Quello che serve è non smettere di sperare. Ogni limitazione può indurre a lasciar perdere, a lasciarsi cadere le braccia, perché “ormai non c’è più niente da fare”. Chi sa sperare, invece, vede sempre qualche spiraglio positivo, una possibilità residua e forse una strada inedita, che apre prospettive mai prima intuite. Molti degli atleti paralimpici, forse, non avrebbero vinto medaglie se fossero rimasti “normodotati”; magari non avrebberoneppure praticato uno sport! Questa è il meraviglioso effetto della speranza: nonostantetutto, guardare al domani con ottimismo e impegnarsi a fondo per fare del proprio meglio.

 

Il Giubileo che si aprirà a Natale ci invita a “riattivare la speranza”, per un mondo davvero capace di superare le tante contraddizioni di cui soprattutto i poveri fanno le spese. Tra di essi Papa Francesco, nella Bolla di indizione Spes non confundit, annovera anche le nuove generazioni. Scrive: “È triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia. L’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti autodistruttivi. […] Con una rinnovata passioneprendiamoci cura dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni!

Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo!”

Chiedo e auguro alle scuole di ispirazione cristiana, che saluto con particolare simpatia, di essere in prima linea nell’ispirare alla speranza la propria opera educativa, aiutando gli studenti, le famiglie e il proprio personale ad accogliere con realismo e serenità i limiti propri e altrui, affinché ciascuno possa viverli come stimolo a fare sempre del proprio meglio. So che molti genitori apprezzano particolarmente questa attitudine a non scartare niente e nessuno, mettendo il massimo impegno a far crescere tutti secondo le proprie possibilità.

Auguro infine un anno pieno di “medaglie”, come frutto della fiducia e dell’impegno di ciascuno. Affido tutti all’intercessione della nuova santa lucchese, Elena Guerra, zelatrice dello Spirito santo, sorgente di ogni buona speranza.

 + Paolo Giulietti, Arcivescovo

Lucca, 16 settembre 2024

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Nel Vangelo Gesù dice a Simone, uno dei Dodici: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Pietro è un nome che ha più significati: può voler dire roccia, pietra o semplicemente sasso. Ed effettivamente, se guardiamo alla vita di Pietro, troviamo un po’ tutti e tre questi aspetti del suo nome.

Pietro è una roccia: in molti momenti è forte e saldo, genuino e generoso.
Lascia tutto per seguire Gesù, lo riconosce Cristo, Figlio del Dio vivente, si tuffa in mare per andare veloce incontro al Risorto.
Poi, con franchezza e coraggio, annuncia Gesù nel Tempio, prima e dopo essere stato arrestato e flagellato.
La tradizione ci parla anche della sua fermezza di fronte al martirio, che avvenne proprio a Roma

Pietro però è anche una pietra: è una roccia e anche una pietra, adatta per offrire appoggio agli altri: una pietra che, fondata su Cristo, fa da sostegno ai fratelli per la costruzione della Chiesa.
Anche questo troviamo nella sua vita: risponde alla chiamata di Gesù assieme ad Andrea, suo fratello, Giacomo e Giovanni; conferma la volontà degli Apostoli di seguire il Signore; si prende cura di chi soffre, promuove e incoraggia il comune annuncio del Vangelo.
È “pietra”, è punto di riferimento affidabile per tutta la comunità.

Pietro è roccia, è pietra e anche sasso: emerge spesso la sua piccolezza.
A volte non capisce quello che Gesù sta facendo; davanti al suo arresto si lascia prendere dalla paura e lo rinnega, poi si pente e piange amaramente, ma non trova il coraggio di stare sotto la croce. Si rinchiude con gli altri nel cenacolo, per timore di essere catturato.
Ad Antiochia si mostra imbarazzato a stare con i pagani convertiti – e Paolo lo richiama alla coerenza su questo –; infine, secondo la tradizione del “Quo vadis”, tenta di fuggire di fronte al martirio, ma incontra Gesù sulla strada e ritrova il coraggio di tornare indietro.

Pietro è un uomo come noi, come ognuno di noi, che dice “sì” a Gesù con generosità nella sua imperfezione. e in tutti i santi – appare che è Dio a renderci forti con la sua grazia, a unirci con la sua carità e a perdonarci con la sua misericordia.

“Pietro non è un superuomo: è un uomo come noi, come ognuno di noi, che dice “sì” a Gesù con generosità nella sua imperfezione.
Ma proprio così in Lui – come in Paolo e in tutti i santi – appare che è Dio a renderci forti con la sua grazia, a unirci con la sua carità e a perdonarci con la sua misericordia. Ed è con questa umanità vera che lo Spirito forma la Chiesa. Pietro e Paolo sono state persone vere, e noi, oggi più che mai, abbiamo bisogno di persone vere.

Adesso, guardiamoci dentro e facciamoci qualche domanda a partire dalla roccia, dalla pietra e dal sasso.
Dalla roccia: c’è in noi l’ardore, lo zelo, la passione per il Signore e per il Vangelo, o è qualcosa che si sgretola facilmente?
E poi, siamo pietre, non d’inciampo ma di costruzione per la Chiesa?
Lavoriamo per l’unità, ci interessiamo degli altri, specialmente dei più deboli?
Infine, pensando al sasso: siamo consapevoli della nostra piccolezza?
E soprattutto: nelle debolezze ci affidiamo al Signore, che compie grandi cose con chi è umile e sincero?”

dall’ Angelus di papa Francesco il 29 giugno 2023

 

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La Pentecoste è la fine di ogni solitudine, la certezza di essere accompagnati, la consolazione di essere guidati.

Spesso non sappiamo quale strada intraprendere, camminiamo senza luce, ci troviamo incerti di fronte alle deviazioni possibili…

Verso dove, Signore? Con chi? Che cosa dobbiamo lasciare, che cosa dobbiamo scegliere? Quali parole fanno bene e quali no, quali azioni intraprendere quando ci sentiamo impotenti? Quali proposte sono giuste, o quali pericoli dobbiamo evitare?

Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà, ci assicura Gesù.

Dio ci guida, ci prende per mano con i doni del suo Spirito, dandoci sapienza, consiglio, fortezza; Dio percorre la nostra strada davanti a noi, ci attende nei momenti di stanchezza, alimenta la nostra forza, illumina i nostri pensieri; ci guida verso la verità di noi stessi, la verità dell’altro, la verità della storia, la verità di Dio.

Possiamo fare solo un passo alla volta, ma tutti vorremmo farlo nella direzione giusta.

E allora invochiamo lo Spirito Santo, vicinanza di quel Dio lontano, per non vagare nella notte, per non seguire solo gli entusiasmi del momento o le nostre convinzioni, per non perderci quando non comprendiamo dove va il viaggio.

Invochiamo lo Spirito Santo perché ci sia di guida, perché ci insegni i passi, perché ci annunci il pensiero del Padre su di noi e quelle cose future che alimentano la nostra speranza.

È una bella esperienza, per nulla remissiva, quella di essere guidati, se chi conduce ci protegge dai pericoli e ci porta verso la verità e la vita, rispettando e promuovendo la nostra libertà nel seguirlo.

È l’esperienza di un bimbo che si fida di chi lo prende per mano ed esplora la novità che lo attende, con trepidazione forse ma senza paura, perché sa di non essere solo.

È l’esperienza di chi può essere in pieno protagonista della sua vita proprio perché si sente custodito e accompagnato.

Vieni, Spirito Santo, ospite dolce dell’anima; nella fatica, riposo; nella calura, riparo; nel pianto conforto… nel cammino della vita, guida sicura.

 

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La notizia è arrivata direttamente dal bollettino, del 13 aprile scorso, della Sala Stampa Vaticana: durante l'Udienza concessa al Cardinal Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, Papa Francesco ha autorizzato il medesimo Dicastero a promulgare alcuni Decreti tra i quali il riconoscimento del «miracolo attribuito all'intercessione della Beata Elena Guerra, Fondatrice della Congregazione delle Oblate del Santo Spirito, dette Suore di Santa Zita, nata il 23 giugno 1835 a Lucca (Italia) e ivi morta l'11 aprile 1914».
Questo è il passaggio decisivo del processo di canonizzazione, atteso dal 1959, cioè da quando Papa Giovanni XXIII proclamò Beata questa donna lucchese.

«È un momento di grande gioia per la Chiesa di Lucca, di cui ringraziamo il Santo Padre, Papa Francesco - ha dichiarato a caldo l'arcivescovo di Lucca mons. Paolo Giulietti - Questa decisione  riconosce il dono di una comunità ecclesiale e il suo cammino. Ma ci offre ora lo stimolo e l'opportunità di riscoprire la vita e l'insegnamento di questa grande donna lucchese».

Felicità anche nelle parole della Superiora Generale della Congregazione delle Oblate dello Spirito Santo, Madre Maria Laura Quattrini, che vive a Lucca: «Abbiamo appreso questa bellissima notizia e siamo felicissime. Finalmente è Santa l'Apostola dello Spirito Santo, la nostra fondatrice. Ringraziamo il Santo Padre, la Chiesa di Lucca e tutti coloro che hanno permesso che arrivasse questo riconoscimento per la Chiesa universale. Spero che lo Spirito Santo, "questo sconosciuto", come lo chiamava la nostra fondatrice Elena Guerra, sia sempre più amato e pregato da tutti. Lo Spirito Santo è amore: invochiamolo in questo mondo pieno di guerre e per le famiglie, affinché l'amore e quindi la pace, trionfino sempre».


Le Suore Oblate hanno avuto una presenza forte nel territorio: la loro casa di accoglienza a Matraia ha svolto un ruolo educativo importante e molte giovani, nel passato, si sono consacrate al Signore inserendosi nella Congregazione. Preghiamo perché il soffio dello Spirito  illumini e smuova i giovani di oggi.

 

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“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
 Che significa? Che se si prende un seme e lo si butta in terra, l’esperienza immediata è vedere il seme marcire. Ma qual è il sinonimo per dire che marcisce? Germoglia. Tu vedi che muore ma in realtà sta vivendo. Tu vedi che perde, ma in realtà sta vincendo.

Ci stiamo avvicinando al Calvario che è il retro del Tabor. L’uomo sconfitto sulla Croce è semplicemente il retro di chi ha vinto la morte, e non è più la stessa vita di prima, è una vita diversa. Se il contadino che si avvicina a un seme dice: “Ho sbagliato a toglierlo dal sacco e metterlo dentro la terra, perché adesso sta marcendo; non mi piace vederlo marcire, lo tolgo dalla terra, lo rimetto nel sacco”.

Quella si che è morte: quando ci si vuole preservare dalla sofferenza invece di affrontarla sotto la luce della croce. Pregare è costanza. Pregare è saper affidare i desideri, le domande, i dubbi, tutto quello che abbiamo nel cuore e lasciare che… faccia Lui… non quello che voglio io: “Sia fatta la tua volontà!”. Lasciare per guadagnare, lasciare la propria “idea” per qualcosa di più grande. Pregare è aver fiducia in quel maestro che ci ha fatto vedere che il donarsi è apparentemente un fallimento, ma dona vittoria.

Signore Gesù, la morte ci spaventa,
perché ha il sapore della fine e della sconfitta.
Tu però ci inviti a guardare il seme,
che morendo prende vita e dona i suoi frutti.
Aiutaci Signore ad essere come il contadino che,
con fiducia e pazienza, attende la primavera
per veder spuntare il grano.
Insegnaci a pregare con costanza nella certezza che
donarsi non è mai un fallimento
anche quando siamo di fronte al Calvario.
Fa’ che quanti vivono il lutto e la malattia,
trovino nella preghiera consolazione e speranza. Amen

Casa parrocchiale

Piazza don Carlo Matteoni, 9
Segreteria: da lunedì a giovedì
dalle ore 16,00 alle ore 19,00

tel. 0583 414082

 

Contatti

Don Agostino te. 353 4594727

Don Luigi tel. 345 3095444

Don Samuele tel. 333 3885531

Suore San Giuseppe te. 351 9283022

 

S.Messe festive

Sabato e vigilia delle feste:
ore 17,00 chiesa San Pancrazio

ore 18,00 chiesa d Marlia

Domenica   

ore 10,30 chiesa di Marlia
ore 11,00 chiesa di Matraia

 

 

S.Messe feriali

Cappella S. Emilia   
ore 08,15: Lodi    ore 08,30: S. Messa   
(no mercoledì e sabato)
 
Confessioni:     sabato ore 17,30

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