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Di nuovo, anche quest’anno, Giovanni Battista ci viene incontro in questo Tempo di Grazia in cui ci è donata la capacità di accogliere il Signore Gesù. Parla a noi per scuoterci dal sonno che a volte ci opprime, per farci uscire dalla superficialità che ci attanaglia. Chiede di preparare la “via del Signore” non in maniera generica ma visibilmente, con il nostro darci da fare. Per concretizzare questa esortazione ci ricordiamo delle parole del Vescovo Paolo che, nella sua Lettera dell’Avvento, invita ad essere ARTIGIANI DI DIALOGO E DI FRATELLANZA
        

Ecco le sue parole: ARTIGIANI DI DIALOGO “Cercare di capirsi con chi la pensa diversamente consente di superare le divergenze e di attivare percorsi comuni. Viviamo in una società che spesso esaspera i contrasti mediante la violenza verbale dei social media; anche nelle piccole comunità familiari, paesane, condominiali, parrocchiali, aziendali... fatichiamo a trovare punti di contatto e obiettivi comuni. Siamo abituati a considerare ciò che ci divide più importante delle molte cose che ci uniscono, a partire dal fatto di abitare uno spazio comune. In questo tempo di Avvento esercitiamoci nell’arte del dialogo, per costruire – o ricostruire – relazioni positive con le persone che abbiamo accanto, anche con quelle che la pensano diversamente da noi, nella convinzione che anche il loro punto di vista debba essere considerato, per giungere a una soluzione condivisa dei problemi.
        

ARTIGIANI DI FRATELLANZA. Uno sguardo di pace sa cogliere innanzitutto la reciproca appartenenza: siamo, infatti, tutti collegati, come accade per i membri di una medesima famiglia. Gli altri ci sono necessari, poiché dipendiamo da loro e perché essere felici da soli non dà vera gioia, bensì porta con sé l’angoscia di difendere la propria situazione di privilegio, magari dietro porte e finestre blindate. “Non è un peso, è mio fratello!” rispondeva nel 1945 un ragazzino giapponese a chi lo esortava a deporre il corpo del fratellino, morto durante un bombardamento e in attesa di venire cremato. In Avvento proviamo a guardare sempre le persone non come avversari o fardelli, ma come membri di una stessa famiglia”.                         

 + Paolo Arcivescovo

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PER SPERARE IN UN MONDO NUOVO

+ Mons. Paolo Giulietti Arcivescovo

Carissimi,

l’Avvento 2022 ci trova tutti smarriti e preoccupati dinanzi alla guerra scoppiata in Ucraina in seguito all’aggressione russa del 24 febbraio scorso. Non è che mancassero le guerre: come non ricordare la Siria, il Tigrai (Etiopia), lo Yemen… in cui da anni sono ormai in atto devastanti conflitti, che stanno provocando morte, povertà e distruzione? Ci sono poi decine di Paesi in cui si consumano guerre a bassa intensità, di cui pochissimo si parla, e altri in cui la violazione dei diritti umani suscita fortissime tensioni, come l’Iran. “Si intensificano conflitti anacronistici, ma riemergono nazionalismi chiusi, esasperati e aggressivi, e anche nuove guerre di dominio, che colpiscono civili, anziani, bambini e malati, e provocano distruzione ovunque. I numerosi conflitti armati che sono in corso preoccupano seriamente. Ho detto che era una terza guerra mondiale a pezzi; oggi forse possiamo dire totale, e i rischi per le persone e per il pianeta sono sempre maggiori” (Francesco, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 10 settembre 2022).

Il conflitto russo-ucraino, però, sta accadendo nel cuore dell’Europa ed è una guerra tra stati sovrani, combattuta da eserciti regolari, come nel nostro continente non accadeva dal 1945. Le sue conseguenze, inoltre, toccano in modo drammatico la vita di persone, famiglie, comunità e imprese anche in Italia, determinando un ulteriore impoverimento, dopo quello generato dalla pandemia, soprattutto a motivo della crisi energetica.

Una sfida alla speranza

Questa situazione interpella in modo pressante la nostra capacità di guardare al futuro con fiducia. È ancora ragionevole attendersi un domani migliore? Vale davvero la pena impegnarsi per il bene? È sensato fare progetti per l’avvenire proprio e della propria famiglia? E mettere al mondo dei figli, non è forse da incoscienti? Alcune indagini rilevano che anche gli adolescenti e i giovani sono in larga maggioranza preoccupati per il futuro proprio e del mondo.

Se l’Avvento è il tempo in cui rinvigorire la virtù cristiana della speranza, l’Avvento 2022 si presenta particolarmente sfidante, ma forse proprio per questo singolarmente fecondo. Scoprirci infatti poveri di fiducia e speranza ci può rendere più attenti all’annuncio di speranza e di pace che viene proposto nelle quattro settimane di avvicinamento al Natale e nelle celebrazioni della nascita di Gesù. Sono parole antiche e gesti ormai noti, ma capaci anche oggi di parlare al cuore.

La tentazione del “Si salvi chi può!”

Quando le cose vanno davvero male, è facile che la reazione di molti sia quella di pensare a se stessi e ai propri cari, disinteressandosi di tutti gli altri. “Si salvi chi può!” diventa lo slogan imperante, magari non apertamente dichiarato, ma purtroppo vistosamente praticato. In epoca di esasperato individualismo, la tendenza a pensare prima di tutto a se stessi risulta rafforzata e i legami con gli altri sono indeboliti; l’altro, per il fatto stesso di esistere, è mio avversario, poiché mi sottrae qualcosa di cui anch’io ho bisogno. A volte l’istinto di sopravvivenza e la violenza hanno più forza persino degli affetti più cari e delle relazioni più sacre (quanti femminicidi!). Tutto questo è una grande illusione, perché salvarsi da soli non è possibile; anzi, tentare di farlo aggrava spesso i problemi.

Come quando durante una catastrofe la gente, in preda al panico, non ascolta alcuna indicazione e i comportamenti disordinati che ne derivano pregiudicano la situazione per tutti. “Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crol- 4 lerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto. […] Il ‘Si salvi chi può’ si tradurrà rapidamente nel ‘Tutti contro tutti’, e questo sarà peggio di una pandemia” (FT, 36). A ben vedere, la guerra è l’espressione estrema e devastante di quella cinica ricerca dei propri interessi che, nel piccolo, tutti noi rischiamo di perseguire e che erode progressivamente la solidarietà. Con la guerra, alla fine tutti perdono, anche chi vince, anche chi si difende da un’aggressione: ogni conflitto, infatti, lascia dietro di sé una scia di distruzioni, morte e odio assai difficile da superare. Per non parlare della prospettiva nucleare, potenzialmente capace di cancellare intere popolazioni e di produrre guasti permanenti a livello ambientale. “Che cosa deve ancora succedere? Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione?” (Francesco, Angelus, 2 ottobre 2022).

La promessa della pace

Le parole del profeta Isaia, che risuonano nella liturgia di Avvento e di Natale del ciclo A, sono state pronunciate in contesti molto simili a quello attuale: i contrasti e le guerre con le potenti nazioni vicine, la crisi economica e sociale della ricostruzione post-esilica, l’indebolirsi dei legami di solidarietà tra la gente, una vita quotidiana lontana da Dio e dalla sua legge… Nonostante tali circostanze, Isaia non cessa di esortare alla speranza: c’è un progetto di pace e di fratellanza al quale vale la pena affidarsi, poiché è garantito dall’Altissimo. “Le nazioni non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4); “fuggiranno tristezza e pianto” (Is 35, 10) e la terra devastata sarà chiamata sposata (cf. Is 62, 4); il Re-Messia avrà il titolo di “principe della pace” (Is 9, 6).

La pace di cui parla Isaia - in ebraico shalòm - non è semplice assenza di guerra, ma una situazione di armonia con Dio, con se stessi, con i fratelli e con la creazione. È pienezza di vita per 5 tutti! È il dono per eccellenza, che realizza l’universale desiderio di un mondo rinnovato. È qualcosa che risponde alle attese profonde del cuore di ogni uomo, più convincente di ogni propaganda, più affascinante di ogni ideologia. In questo Avvento, pertanto, siamo invitati ad aprire il cuore e la vita all’affidabile speranza di pace che viene da Dio. Per di più, una Chiesa che crede nella pace, la persegue e la testimonia, come recita la IV Preghiera eucaristica per varie necessità, fa sì che “tutti gli uomini si aprano a una speranza nuova”.

L’arte della pace

La pace, dono di Dio, è anche frutto della generosa risposta dell’uomo. “Occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia” (FT, 225). Papa Francesco propone a tutti noi di essere costruttori e testimoni di pace, con la sapienza dell’artigiano, che sa coniugare con creatività le regole del mestiere con le possibilità offerte dalla realtà. Non basta, infatti, l’azione dei grandi della terra (che egli chiama “architetti”): serve che ciascuno dia il proprio contributo, ogni giorno. Quale migliore occasione di questo Avvento per darsi da fare? Vediamo insieme come.

Artigiani di dialogo.

Cercare di capirsi con chi la pensa diversamente consente di superare le divergenze e di attivare percorsi comuni. Viviamo in una società che spesso esaspera i contrasti mediante la violenza verbale dei social media; anche nelle piccole comunità familiari, paesane, condominiali, parrocchiali, aziendali... fatichiamo a trovare punti di contatto e obiettivi comuni. Siamo abituati a considerare ciò che ci divide più 6 importante delle molte cose che ci uniscono, a partire dal fatto di abitare uno spazio comune. In questo tempo di Avvento esercitiamoci nell’arte del dialogo, per costruire – o ricostruire – relazioni positive con le persone che abbiamo accanto, anche con quelle che la pensano diversamente da noi, nella convinzione che anche il loro punto di vista debba essere considerato, per giungere a una soluzione condivisa dei problemi.

Artigiani di fratellanza.

Uno sguardo di pace sa cogliere innanzitutto la reciproca appartenenza: siamo, infatti, tutti collegati, come accade per i membri di una medesima famiglia. Gli altri ci sono necessari, poiché dipendiamo da loro e perché essere felici da soli non dà vera gioia, bensì porta con sé l’angoscia di difendere la propria situazione di privilegio, magari dietro porte e finestre blindate. “Non è un peso, è mio fratello!” rispondeva nel 1945 un ragazzino giapponese a chi lo esortava a deporre il corpo del fratellino, morto durante un bombardamento e in attesa di venire cremato. In Avvento proviamo a guardare sempre le persone non come avversari o fardelli, ma come membri di una stessa famiglia.

Artigiani di solidarietà.

La radice di ogni violenza è, in ultima analisi, l’indifferenza per il dolore o i problemi degli altri. La pace si costruisce perciò con la scelta di non passare accanto ai poveri facendo finta di non vederli, ma con l’impegno “di riconoscere, garantire e ricostruire concretamente la dignità, spesso dimenticata o ignorata, dei nostri fratelli” (FT, 233). Vero antidoto alla guerra è la cura per l’altro, come don Milani faceva notare ai suoi ragazzi, opponendo al me ne frego fascista il motto I care, espressione di interesse sincero per il bene comune. Soprattutto in prossimità del Natale, non manchi qualche concreto gesto di attenzione alle persone bisognose che abbiamo accanto.

Artigiani di giustizia.

Nel 2023 ricorreranno i 60 anni dell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, promulgata l’11 aprile 1963, poco più di un mese prima della morte del “Papa buono”. In essa si dichiara, all’indomani della “crisi dei missili di Cuba”, che la pace non può fondarsi sull’equilibrio delle forze militari, ma sull’impegno per assicurare i diritti di ogni persona a una vita dignitosa e libera. È solo la giustizia, non la reciproca deterrenza, che assicura una pace duratura. Piccole ingiustizie abitano spesso la nostra quotidianità e la violazione delle regole toglie sempre agli altri qualcosa: tempo, serenità, denaro… In una cultura di illegalità diffusa maturano i semi del sopruso e della violenza. In Avvento, cerchiamo di essere più corretti nell’osservare le regole della convivenza e di adoperarci a rimuovere le piccole ingiustizie di cui siamo ogni giorno testimoni.

Artigiani di perdono.

Poiché il conflitto si manifesta in ogni comunità umana, è necessario saper perdonare, per impedire o interrompere le spirali di odio e violenza. “Occorre riconoscere […] che quel giudizio duro che porto nel cuore contro mio fratello o mia sorella, quella ferita non curata, quel male non perdonato, quel rancore che mi farà solo male, è un pezzetto di guerra che porto dentro, è un focolaio nel cuore, da spegnere perché non divampi in un incendio” (FT, 242). “Quanti perdonano davvero […] rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l’avanzare delle forze della distruzione” (FT, 252). Chi non ha qualcuno o qualcosa da perdonare o da farsi perdonare? Arriviamo al Natale pacificati da gesti di riconciliazione, che portino pace nelle famiglie, nei vicinati, nelle parrocchie… Saranno queste le luci di feste natalizie più povere di luminarie.

Attendiamo insieme

Come negli anni scorsi, alcune occasioni comuni ci aiutano a vivere meglio l’Avvento:

• i “Martedì della pace”: quattro appuntamenti serali – tre in rete e uno in presenza - per aprire la mente e il cuore a prospettive di pace;

• la colletta dell’Avvento di fraternità, promossa dalla Caritas diocesana e destinata a sostenere le mense serali per i poveri a Lucca e a Viareggio.

Artigiani della pace, all’opera!

“Non ci inganni una falsa speranza. Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, rinunciando a ogni odio e inimicizia, l'umanità […] sarà forse condotta funestamente a quell'ora, in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte. La Chiesa di Cristo nel momento in cui, posta in mezzo alle angosce del tempo presente, pronuncia tali parole, non cessa tuttavia di nutrire la più ferma speranza” (GS, 82).

Ci siamo illusi che la pace del nostro fazzoletto di terra europeo fosse ormai consolidata, dopo i travagli balcanici degli anni ’90 del XX secolo. Abbiamo scoperto che non è così: la pace va coltivata, cercata, edificata, implorata… con la pazienza sapiente del tessitore, il quale ogni giorno siede al telaio per intrecciare i fili colorati della sua stoffa. Le parole di Isaia e il cammino liturgico d’Avvento ci aiutino ad abbandonare l’arte della guerra per l’arte della pace, perché ad ogni uomo sia restituita la speranza di un mondo finalmente rinnovato.

1 dicembre 2022

+ Paolo Giulietti

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“Al termine di questo anno liturgico è opportuno un breve bilancio del lavoro svolto: ci aiuta a non dimenticare, ma soprattutto a rilanciarci avanti per un impegno rinnovato.
In questi giorni, lo scorso anno, ancora eravamo in pieno COVID; dopo la pausa estiva riprendevano le contaminazioni e si iniziavano i primi vaccini. Sembra molto tempo, ora che siamo un po’ più  “liberi”, eppure era soltanto qualche mese fa.

L’atteggiamento primario che ci ha guidato nei mesi trascorsi è stato quello di consolidare la nostra Comunità parrocchiale “Lungo la Fraga”. In primo luogo abbiamo iniziato gli incontri del neo-formato Consiglio Pastorale che ha approfondito, nel tempo, il Programma Pastorale e le Linee Sinodali permettendo anche una maggiore conoscenza tra i vari componenti.

Nel contempo si è dipanata, giorno dopo giorno, la trama delle celebrazioni liturgiche, della formazione e della catechesi. Non possiamo dimenticare, a questo proposito, la celebrazione unitaria del Corpus Domini a S. Pancrazio e la Festa della Madonna del Rosario a Marlia, la formazione per gli adulti con le catechesi sul “Credo” nei mesi di novembre/dicembre ‘21, gli incontri per i genitori, il “mini-campo” con i ragazzi di Matraia e quello all’Alpe di S. Antonio con i cresimandi ed altri ragazzi delle medie. E già prima si era vissuto l’avvicinamento tra gruppi di adolescenti con gli incontri di formazione e la partecipazione all’udienza del Papa a Roma il giorno di Pasquetta.

Spostando leggermente lo sguardo consideriamo l’attività dell’Oratorio ANSPI “Giovanni Paolo II”; gli auguri di Natale, la festa di Carnevale e quella della Comunità con l’inaugurazione del DAE l’11 giugno, il GREST estivo alla luce del “Piccolo Principe” hanno costituito l’ordito che ha permesso a ragazzi, adulti e famiglie di relazionarsi e rendere più consistenti i legami di conoscenza e, perché no? di amicizia intessuti di spirito comunitario e cristiano. A questo hanno contribuito anche i vari incontri di festa e cene conviviali organizzate in tutte le frazioni della Comunità, da Ciaciana, a S. Pancrazio, a Matraia, a Marlia.
“Normale amministrazione?”. No! Semmai un progressivo percorso che rende uniti, solidali, migliori e...un po’ più cristiani! 

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“Non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”.
Le parole di Gesù ci colpiscono direttamente: ai nostri giorni non solo assistiamo con sgomento alla caduta e al dissolvimento di pietre, abitazioni e monumenti a causa delle calamità naturali, ma anche ci rendiamo conto che il nostro mondo spirituale si va sgretolando. Nel giro di poche generazioni abbiamo cambiato abitudini, modi di pensare e cambiare; e non sempre in meglio. La litigiosità, il rancore, la guerra e le devastazioni sembrano crescere a dismisura.
Se poi vi aggiungiamo le malattie e le pandemie che ampliamo a profusione, ci rendiamo conto di essere in una società frantumata e, pure noi, sbriciolati.

“Ma non è subito la fine”: “con la vostra perseveranza salvate la vostra vita”.
C'è un modo per continuare a vivere: essere perseveranti. Cosa vuol dire ce lo spiega papa Francesco: “La perseveranza è “pazienza”; “è la capacità di sopportare, portare sopra le spalle, di rimanere fedeli, anche quando il peso sembra diventare grande, insostenibile, e saremmo tentati di giudicare negativamente e di abbandonare tutto e tutti”. 
Ci rendiamo conto del maschio, dunque, ma non possiamo avvilirci e rassegnarci: è necessario essere “pazienti”; per imparare ad “attraversare” - come si dice - il male fisico o spirituale che ci avvolge per dirigerci verso l'incontro con qualcuno che ci accoglie. Solo Dio può donare perseveranza e pazienza.
Tutti noi allora, cogliamo l'occasione che ci è offerta settimanale: un'occasione con la proposta mensile a un'occasione di adorazione mensile eucaristica con cadenza, il terzo mercoledì.
E' il tempo offerto a tutti, giovani e adulti, di “stare davanti al Signore” per avere “consolazione”, per avere cioè –ed è ancora Francesco che ce lo ricorda- “la grazia di cogliere e mostrare in ogni situazione, anche in quelle maggiormente segnate dalla delusione e dalla sofferenza, la presenza e l'azione compassionevole di Dio”. Solo Lui è perseverante nell'amore con noi, non si stanca di amarci, è perseverante, sempre ci ama, si prende cura di noi “ricoprendo le nostre ferite con la carezza della sua bontà e della sua misericordia, cioè ci consola, non si stanca di consolarci”. Perché non provarci?

 

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Nella  festa di tutti i Santi, che celebriamo il 1 Novembre, la Chiesa ha inteso raccogliere in un unico giorno il ricordo di tutti i nostri Santi, con particolare attenzione a quella “immen-sa moltitudine che nessuno può contare” di cui parla l’Apocalisse: sono i Santi non procla-mati che andiamo a visitare in questi giorni nei nostri cimiteri; gente che ha vissuto le Beatitudini con semplicità e, il più delle volte, nel nascondimento.

Sono i santi “della porta accanto”, come papa Francesco ha scritto nella lettera dedicata alla santità, Gaudete et exsultate; una santità radicata nel primato dell’amore di Dio per noi che, di conseguenza, chiede una risposta da parte nostra: servire e dare la vita.

E’ una santità “fattibile”, semplice, non impossibile Ricordiamo le parole di Francesco: «Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato o sposata? Sii santo e santa amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa…», e via dicendo immaginando un lavoratore, un genitore, una nonna o nonno, un’autorità. La santità insomma non è per poche anime elette: «Proviamoci anche noi: non è chiusa la strada della santità, è universale, è una chiamata per tutti noi, incomincia con il Battesimo». C’è spazio per ognuno.

Il giovane Agostino d’Ippona, in un momento di svolta per la sua vita, in cui l’esempio di uomini e donne che avevano preso seriamente il cammino della santità l’aveva scosso e messo di fronte alla sua “vita a metà” e alla sua incapacità di tagliare i ponti con quello che non gli consentiva di cominciare a seguire fino in fondo Gesù, si domandava. “Non potrai tu ciò di cui sono capaci questi uomini e queste donne?” (Confessioni 8, 11, 27).

“Perché non io?”. Se siamo onesti sentiamo che in tutti abita la nostalgia alla santità ed è un richiamo alla gioia, alla pace del cuore; risveglia in noi il desiderio di non perderci in cose inutili, di non gettare via tempo prezioso, di puntare in alto. Dio crede in noi più di quanto noi non crediamo in noi stessi.  

 

Casa parrocchiale

Piazza don Carlo Matteoni, 9
Segreteria: da lunedì a giovedì
dalle ore 16,00 alle ore 19,00

tel. 0583 414082

 

Contatti

Don Agostino te. 353 4594727

Don Luigi tel. 345 3095444

Don Samuele tel. 333 3885531

Suore San Giuseppe te. 351 9283022

 

S.Messe festive

Sabato e vigilia delle feste:
ore 17,00 chiesa San Pancrazio

ore 18,00 chiesa d Marlia

Domenica   

ore 10,30 chiesa di Marlia
ore 11,00 chiesa di Matraia

 

 

S.Messe feriali

Cappella S. Emilia   
ore 08,15: Lodi    ore 08,30: S. Messa   
(no mercoledì e sabato)
 
Confessioni:     sabato ore 17,30

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